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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2010 alle ore 17:30.
Pugile, pittore, militare, giornalista e scrittore: tutto questo è stato John Huston prima di diventare uno dei più importanti registi della storia del cinema americano.
A lui sarà dedicata la retrospettiva principale del Torino Film Festival 2010 (26 novembre-4 dicembre), completa di tutte le pellicole che ha diretto (cortometraggi compresi) e di alcune che ha soltanto interpretato.
Nato in Nevada nel 1906, Huston inizia ad avvicinarsi al mondo di Hollywood verso la fine degli anni '20, proponendosi prima come attore e in seguito, con più fortuna, come sceneggiatore: fra i suoi copioni vanno almeno ricordati «Figlia del vento» di William Wyler e «Una pallottola per Roy» di Raoul Walsh.
Proprio grazie al talento dimostrato con quest'ultima sceneggiatura, gli verrà data la possibilità di passare alla regia. Il suo esordio fu «Il mistero del falco» del 1941: tratto dall'omonimo romanzo di Dashiel Hammett, questo film (seppur girato con un budget limitato) venne immediatamente considerato un cult movie, diventando il precursore del noir americano che negli anni '40 vivrà la sua età dell'oro.
A questo genere ritornerà diverse volte nella sua carriera, toccando l'apice con «Giungla d'asfalto» del 1950, dove diresse per la prima volta Marilyn Monroe. I due torneranno a lavorare insieme nel 1961 per «Gli spostati», ultima apparizione della diva prima della sua prematura scomparsa.
Fin dai suoi primi lavori, Huston venne considerato uno dei più importanti "direttori di attori" di Hollywood e, curiosamente, questa sua capacità valse importantissimi riconoscimenti anche ad alcuni suoi familiari: nel 1948 portò al premio Oscar come migliore attore non protagonista il padre Walter per la sua interpretazione ne «Il tesoro della Sierra Madre» e, nel 1985, la stessa fortunata sorte toccò alla figlia Anjelica per «L'onore dei Prizzi».
Parallelamente alla carriera da regista, proseguì sempre anche quella di attore alternando ruoli importanti (come in «Chinatown» di Roman Polanski) ad altri puramente "alimentari" che gli permisero di godersi la vita fino in fondo.
Ebbe un'esistenza travagliata, segnata dall'alcol, dai litigi con i produttori che cercavano di limitarne la libertà creativa e da cinque matrimoni, che così descrive nella sua autobiografia (intitolata «Open Book»): «Nessuna delle mie mogli ha avuto una sia pur vaga somiglianza con una qualunque delle altre e di certo nessuna assomigliava a mia madre. C'è stato di tutto: una studentessa, una gentildonna, un'attrice, una ballerina e un coccodrillo». Riservò questo aggettivo alla sua ultima moglie, Celeste Shane (con la quale rimase sposato dal 1972 al 1977), che lo costrinse a pagare costi salatissimi per il divorzio.