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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2010 alle ore 06:39.
«La gente comune pensa che al mio capezzale io abbia l'Odissea o l'Iliade, o la Bibbia, o Dante... Il libro al mio capezzale è quello dove s'aduna il "fiore dei tempi e la saggezza delle Nazioni": il "Barbanera"». Così scriveva Gabriele d'Annunzio nel 1934 dal Vittoriale, dove nell'archivio custodiva copie vecchie di vent'anni dell'almanacco folignate, che consultava come una Sibilla all'inizio di ogni giornata. Anche se sarebbe trascorsa in vestaglia. Certo più interessato ai significati misteriosi dei transiti planetari nei vari segni che all'epatta, cioè l'età della luna che influisce su maree e vegetazione, il Vate è oggi uno dei testimonial principali di quelle pagine che dal 1762 vengono stampate nella città umbra, la stessa dove 290 anni prima e per la prima volta era uscita da un torchio anche la Divina Commedia. Barbanera è una figura leggendaria, forse un monaco-astronomo di nobile famiglia. Da oltre 200 anni in suo nome (nell'almanacco che ha tiratura di 230mila copie) si spiega ai contadini quando seminare, organizzare il raccolto e persino viaggiare o fare il bucato.
Nonostante l'origine popolare (si compravano da venditori ambulanti e si appendevano accanto al camino o nelle stalle) e con un nome che evoca eruditi astronomi arabi, gli almanacchi o lunari si pregiano di essere fra le pubblicazioni più antiche d'Italia. A Torino, nella tipografia Altieri, si stampa da decenni l'«Almanacco del Gran Pescatore di Chiaravalle», la cui storia si perde nel Medioevo padano: «Il titolo prende il nome da un frate che viveva nell'abbazia di Chiaravalle, vicino a Milano, un frate converso, che non poteva dire messa ma si occupava di fornire pesce alla comunità – spiega Gianfranco Altieri –. Proprio durante la pesca del mercoledì e del venerdì osservava le stelle e ne traeva previsioni». Così nacque l'almanacco, che oggi è stampato in circa 25mila copie, richieste e perciò distribuite in tutta Italia. «Nel '600 si stampava in una tipografia milanese, poi dal 1701 a Torino», continua Altieri, che ricorda poi quegli anni Settanta e Ottanta, quando la stampa dell'almanacco passò alla sua tipografia e quando i racconti di Mario Soldati, Enzo Biagi e Piero Chiara si mescolavano fra le pagine di consigli per seminare le carote e potare i meli. Più territoriale è il «Bugiardino Ligure»: per Massimo Angelini, che l'ha riorganizzato e dal 2006 lo pubblica in circa 25mila copie, «eredita una lunga tradizione lunaristica che vive nelle case liguri dal 1474 e che, fino agli inizi del Novecento, ha rappresentato la forma di letteratura popolare più diffusa tra la gente comune». Nella zona di Firenze è molto venduto il «Sesto Cajo Baccelli», dal nome di un cabalista vissuto nel '600, che da più di un secolo esce con la stessa copertina azzurro carta da zucchero con l'immagine di un contadino in casa accanto al camino. Lo pubblica Giunti, con il marchio Edizioni Ofiria: per il 2011 la tiratura è stata di 65mila copie ed è l'unico almanacco ad avere una pagina Facebook con 384 fan.