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Questo articolo è stato pubblicato il 13 marzo 2011 alle ore 15:42.

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E la platea si allarga on demandE la platea si allarga on demand

Lei non si intende di computer?
No, personalmente ci capisco ben poco. Guardo gli spezzoni dei vecchi direttori su YouTube: che ricchezza. Ma non mi metterei a un'opera sullo schermo. Più che altro per una questione di tempo. Ma ci tengo a dire una cosa importante: oggi si continua a parlare di cultura in crisi, di tagli, di meno risorse, ma paradossalmente proprio ora si inventano tutte queste attività per far muovere la cultura. Se succede questo, io non credo che siamo in crisi. Anzi. Forse siamo più vivi.

Si potrebbe usare di più il web?
Sicuramente, ma a Santa Cecilia stiamo cercando di stare su più piani: la stagione, le tournée, i dischi, migliorare la qualità dei direttori ospiti... Si gioca sulla varietà. Contrasti e varietà: non si investe su un solo titolo in borsa. Vero?

Puntate sui giovani? Su un nuovo pubblico?
Naturalmente. Ma i ragazzi tra 16 e i 20 anni sono difficili da raggiungere. La nostra meta sono i 25-40enni, che lavorano, che cercano altre cose nella vita, emozioni più forti.

Simuliamo un suo concerto sul web. Le facciamo le domande (lì senza risposte, ndr) che sono sul sito di «Pappanoinweb»: come prepara un'esecuzione?
Ci sono diversi tipi di preparazione. La prima è solitaria, è lo studio personale, quello che io spero sia identico anche nei miei musicisti. Ossia, si studiano le parti. Poi viene il lavoro insieme: quando sono davanti all'orchestra il primo effetto è la reazione al gesto. Ma il mio obiettivo è anche che tutti si ascoltino, sempre. Così è come trovarsi davanti a una creatura, allo stato embrionale, che cresce molto veloce. Il potere di tanta gente insieme è incredibile: si muovono testa, cuore, stomaco, cervello, emozioni, si dà shape, forma alla composizione. Si bilancia la tecnica, l'interpretazione. Si lavora di democrazia: quale strumento deve prevalere? Si lavora di domande. Il risultato è un tapestry, un arazzo, un complesso dove si fondono ascolto, insegnamenti, curiosità. Ogni partitura diventa sempre una storia.

E come si scelgono i programmi di una stagione?
Ci sono diversi focus: ad esempio, questo è l'anno Mahler, un grande che nel sinfonico ha scritto capolavori. Questo permette di pensare a un ciclo, le Sinfonie significano l'immersione nel suo mondo, lavoro tecnico su uno stile. Un esercizio che fa molto bene all'orchestra. Poi, su otto programmi che io dirigo, almeno tre o quattro devono avere il Coro: il nostro di Santa Cecilia è spettacolare. E qui si guadagna un altro focus. Poi viene il discorso grandi solisti: Pollini, Argerich, Kavakos...quali brani possiamo suonare insieme? Così si forma la stagione: un misto di conosciuto e raro, antico e contemporaneo, in balance, in equilibrio tra tutti i repertori possibili.

Lei è pianista: quanto è importante per un direttore saper suonare?
Se sei capace di suonare bene uno strumento, è un vantaggio. Perché stai in contatto col suono che produci. I direttori lavorano sempre sul silenzio, su un'illusione di suono. Il suonare ti pone in una situazione di dialogo intimo tra musicisti. Crea una conversazione musicale.

Come si fondono opera e sinfonico?
L'opera fa crescere la teatralità nel direttore, il sinfonico tiene viva l'attenzione musicale. L'opera, si sa, ha tante distrazioni...

Ci mancavano solo le conigliette, come nell'opera Anna Nicole. A proposito: come è andata a Londra?
È stata una grandiosa sorpresa. Una proposta così o si ama o si odia. Ma dal mio punto di vista è stato importante dimostrare che l'opera contemporanea ha anche scritture accessibili al pubblico.

Cosa farà al Covent Garden dopo il 2013? Lascia o...
Resto. Almeno fino al 2014, 2015. Niente Scala. Verrò come direttore ospite, nel 2014. Dirigerò Berlioz, Les Troyens.

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