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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2011 alle ore 15:47.

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«La versione di Barney» in Italia ha conosciuto una fortuna straordinaria: probabilmente qui suo padre è più famoso di Philip Roth e Saul Bellow. Come se lo spiega?
Credo che in Italia si apprezzi profondamente la bella vita. Gusti del signor Berlusconi a parte, da voi non c'è il culto ossessivo della giovinezza che rovina ogni cosa e rende tutto molto noioso, come avviene in Nord America. Nel vostro Paese c'è un posto a tavola per tutte le generazioni e così il burbero punto di vista di Barney è stato non solo compreso ma anche sentito più vicino di quanto non fosse accaduto negli Stati Uniti e in Inghilterra. Il Canada fa storia a sé: il Paese è cresciuto con mio padre e avverte ancora terribilmente la sua mancanza. La predilezione per la bella vita era un qualcosa che mio padre amava condividere: i pochi appunti che rivolgeva ai suoi figli non avevano mai a che fare con la realizzazione professionale quanto piuttosto con la pienezza della vita che conducevano. Sono stato o no un ragazzo fortunato?

Nel «Diario di un ambulante» suo padre sembra lanciare una provocazione: il mestiere di scrittore somiglia sempre di più a quello del piazzista che viaggia in giro per il mondo a vendere i propri prodotti a persone che li conoscono soltanto superficialmente. Condivide questa analisi?
Probabilmente è ancora più vero oggi, con il mondo che è diventato sempre più invadente, esplicito ed esigente nei confronti di chi vi gioca persino il ruolo più marginale. A volte mi chiedo come si sarebbe comportato mio padre di fronte a tutto ciò e, in particolare, quale tiro mancino avrebbe escogitato a riguardo. Si interessava di computer, per quanto non ne usasse, e penso proprio che tutto il voyeurismo, il porno, la portata e il sensazionalismo di Youtube, Twitter e delle ricerche su Google sarebbero stati per lui materia tale da farci crepare dal ridere. Lui era il tipo - ricordiamocelo - che prosperava sugli scherzi che riusciva a fare con i fax. E i suoi personaggi stanno sempre a inviare fax o lettere per sconvolgere il prossimo.

Parliamo della trasposizione cinematografica de «La versione di Barney»: non tutti i fan del libro hanno apprezzato le licenze che il regista si è concesso rispetto alla storia originale. Come giudica, insomma, il lavoro compiuto dal regista Richard J. Lewis?
Che io ricordi, c'è solo un film che rende piena giustizia al romanzo da cui è tratto: l'adattamento inglese del «Ritorno a Brideshead» di Evelyn Waugh ma… dura tredici ore! Tornando a «Barney», parti enormi del romanzo sono state tagliate e credo che se hai letto il libro il giorno prima probabilmente uscirai dalla sala deluso, il che è merito del romanzo non un'onta sul film. È facilissimo fare un brutto film e altrettanto difficile farne uno bello. Sono andato a vederlo senza aspettative e ne sono uscito molto contento. Ritengo che Paul Giamatti, Scott Speedman, Dustin Hoffman, Minnie Driver e Rosamund Pike riescano straordinari. Mi spiace che la lunga conversazione di Minnie da seconda signora Panofsky sia stata tagliata, forse più in là faranno un'edizione con tanto di «director's cut», ma in tutta franchezza è un peccato che la solita politica e la limitatissima distribuzione del film negli Stati Uniti abbiano comportato che nessuno all'Accademy lo prendesse in considerazione. Hoffman avrebbe assolutamente meritato di essere in corsa per l'Oscar come migliore attore non protagonista, anche Paul avrebbe meritato una nomination ma così vanno le cose. E adesso abbiamo un film molto divertente.

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