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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2011 alle ore 15:47.

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E sulla trasposizione da Parigi a Roma dell'ambientazione del primo matrimonio di Barney cosa dice?
A dire il vero ho qualche responsabilità a riguardo: ero a pranzo con il produttore Robert Lantos che ha dedicato molti anni alla realizzazione del film e gli suggerii che Roma avrebbe funzionato ugualmente e, in più, lì avremmo avuto maggiori probabilità di ottenere una coproduzione. Avevo visto da poco il film «Denti» (di Gabriele Salvatores, ndr) e mi era piaciuto parecchio. A ogni modo ho apprezzato molto il risultato finale. E senza l'Italia non avremmo avuto Thomas Trabacchi, tanto per cominciare. Poi i miei genitori amavano Roma dai tempi dell'appassionata avventura che ebbero in città nel '59, un viaggio e un soggiorno che custodirono come ricordo fino al sorprendente successo del tour di presentazione di «Barney». Così questa città è diventata ancora più significativa per papà, poco prima che morisse. È difficile lamentarsi quando l'«ambulante» uno lo va a fare in Italia.

E sua madre come ha reagito a «rivedersi» sul grande schermo?
Si possono fare molte supposizioni ma credo sia una bella sensazione. Non posso parlare per conto di mamma ma mi sono molto divertito quando qualcuno ha detto che non era credibile che una donna attraente come Rosamund Pike si innamorasse di un tipo come Giamatti. Ma le hanno viste le foto di papà? Tanto per ridere: ero da «Moishe's», la steak house ebraica di Montreal che fu per lungo tempo ritrovo di mio padre e che, tra l'altro, appare nel film. Mi presentano a un tizio come il figlio di Mordecai Richler e questo qui, senza l'intenzione di essere divertente, mi dice: «Ah sì? La vedo la somiglianza. Ma sembri più Paul Giamatti».

Nel suo contributo a «Mordecai» lei parla a lungo dell'autobiografismo di suo padre. A suo giudizio, qual è il personaggio di Mordecai Richler che assomiglia di più a Mordecai Richler?
Jake Hersh di «St. Urbain's Horseman».

La storia d'amore tra suo padre e sua madre è diventata letteratura. Come descriverebbe la loro vita quotidiana insieme?
Si sono dedicati completamente l'uno all'altro. Si amavano moltissimo. Quando penso a loro due insieme, mi vengono in mente soprattutto i loro silenzi e quanto fossero comunicativi quei silenzi.

Sua sorella Emma ha dichiarato: «Mio padre era uno scrittore, un marito e un padre. In quest'ordine». Condivide?
Credo di no. Con questo non voglio dire che Emma si sbagli e io abbia ragione ma ricordo che mia madre diceva che papà all'inizio aveva fatto una promessa piena d'enfasi, qualcosa di più di una promessa: diceva che il suo desiderio di essere uno scrittore non sarebbe stato d'intralcio alla famiglia che stavano mettendo su.

«La versione di Barney» è di sicuro il romanzo più famoso di Richler, «Solomon Gursky è stato qui» forse il più ambizioso, «L'apprendistato di Duddy Kravitz» il più immediato. In definitiva, qual è il romanzo di suo padre che preferisce?
Ammiro enormemente «Solomon Gursky»: è la cosa che si avvicina di più al concetto di «grande romanzo canadese», se possibile. «Duddy Kravitz» è tremendamente importante: è una specie di racconto popolare canadese e ho sentito così tante persone che si definiscono uguali al personaggio di Duddy che alle volte penso che sarebbe divertente creare un sito del tipo www.iamduddykravitz.com. È un tipo umano così trasversale alle diverse etnie che potrebbe essere coreano o persino arabo-canadese. «La versione di Barney» è probabilmente l'opera più divertente anche se «St. Urbain's Horseman», per come la vedo, è forse la cosa più vicina alla perfezione cui papà sia arrivato. Ossia il romanzo che alla fine si è avvicinato di più a quelle che erano le intenzioni iniziali di mio padre.

Un'ultima domanda. Il 3 luglio del 2011 ricorrerà il decimo anniversario della scomparsa di Mordecai Richler. Da allora ne sono successe di cose: Obama presidente degli Usa, sempre nuovi focolai di guerra nel mondo arabo, gente che cammina per strada attaccata all'iPad. Come avrebbe commentato tutto ciò suo padre?
Non ne ho idea… beh, una mezza idea ce l'avrei: un afroamericano alla Casa Bianca lo avrebbe fatto fremere e il continuo disordine in Medio Oriente lo avrebbe riempito di disperazione. Le feste di Berlusconi lo avrebbero divertito, ma non impressionato e il teppismo che prende piede nell'hockey (un giocatore dei Montreal Canadiens, nei giorni scorsi, si è rotto il collo in uno scontro con un avversario, ndr) lo avrebbe completamente allontanato da questo sport che pure adorava. La trasformazione del Canada in uno Stato di destra lo avrebbe depresso, ma anche caricato. L'idea che uno dei suoi figli visitasse l'Italia per via di un saggio su di lui sarebbe stata punto di partenza di prese in giro senza fine. I ragazzi non vengono mai su bene nelle sue opere: generalmente sono ingrati e scrocconi. Però gli avrebbe fatto parecchio piacere vedere il figlio lavorare sodo per riuscire nell'impresa, insieme con la sua adorata moglie, mia madre. Lui era, per chi non l'avesse ancora capito, una specie di patriarca.

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