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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2011 alle ore 13:41.

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Bruno Ganz (a destra) nel ruolo di Tiziano Terzani ed Elio Germano nel ruolo del figlio Folco in una scena dal film "La fine e' il mio inizio", tratto dal best seller dello stesso Terzani e firmato da Jo Baier. (Ansa)Bruno Ganz (a destra) nel ruolo di Tiziano Terzani ed Elio Germano nel ruolo del figlio Folco in una scena dal film "La fine e' il mio inizio", tratto dal best seller dello stesso Terzani e firmato da Jo Baier. (Ansa)

E allora vien voglia, i fumettari sanno a cosa ci riferiamo, di trovare qualcuno con il coraggio suicida di portare al cinema Lobo. Quella sarebbe una rivelazione. E una rivoluzione. Divertente un Nicholas Cage che fumetto, anzi caricatura, ormai è da due decenni, bravo il protagonista Aaron Johnson, meravigliosa Lyndsy Fonseca che ritroviamo anche in «The Ward», ultima opera del maestro John Carpenter. L'attrice, famosa per la sua Dylan nella serie tv Casalinghe disperate, qui si trova in un gineceo disperato, chiuso in un manicomio claustrofobico.

Il genio Carpenter
Film femminile come già Sucker Punch- con cui condivide molto, forse troppo- e «Offside» di Panahi (esce l'8 aprile, lì la follia è istituzionalizzata), rappresenta un piccolo enigma per gli appassionati di Carpenter. Il genio che ci ha regalato capolavori assoluti (da Fuga da New York a La cosa, da Fog a Grosso Guaio a Chinatown, da Distretto 13 ad Halloween e ce ne dimentichiamo sicuramente altrettanti) qui si limita a un compitino diligente e ben fatto, ma che non aggiunge nulla alla sua arte. Non ci sono rischi, il plot è quello classico di un thriller "mentale", tutto va con il pilota automatico. La sua firma si vede nitida nei titoli di testa e nei primi minuti e in qualche altro momento, la bellezza delle protagoniste è il primo segnale di debolezza (per i più scafati) e così The Ward passa via liscio, come i film di Carpenter, belli (quasi tutti) o brutti (al massimo un paio) che siano, non fanno mai. Di certo, però, è decisamente meglio di un film non molto dissimile, Shutter Island, che pure è diretto da Martin Scorsese. Ma con i talenti unici non ci si accontenta mai.

Mia moglie per finta e Hop
Ci si accontenta eccome, invece, con film commerciali e furbetti come «Mia moglie per finta» e «Hop». Profondamente diversi, ma sono uniti dalla voglia di far soldi, essere pellicole "simpatiche" e portare a casa il minimo sindacale grazie a buoni attori, discrete alchimie, qualche battuta, scena, personaggio indovinato e poco altro. Se Hop è per i più piccini, grazie a quella storia bizzarra di un coniglietto pasquale in pectore e un bamboccione che si scoprono diversi nel fisico ma uguali nell'animo, Mia moglie per finta parla dell'annosa e stucchevole storia di uomini e donne innamorati, pur non sapendolo. Nel primo caso la versione italiana sconta un doppiaggio non all'altezza, nel secondo una durata eccessiva del film che a un certo punto annacqua la pur ottima alchimia tra Jennifer Aniston e Adam Sandler, la colonna sonora presa di peso dal repertorio di Sting e alcune scene esilaranti. Buoni entrambi per un pomeriggio senza pensieri e senza pretese, ma niente di più.

Il testamento spirituale di Terzani
Chiudiamo con due film molto attesi. La fine è il mio inizio di Jo Baier, è la trasposizione cinematografica del testamento morale e soprattutto spirituale di Tiziano Terzani. Il grande giornalista, dopo Vietnam, Cina e tanti altri viaggi per raccontare il mondo, ha ritrovato fama e seguito negli ultimi anni della sua vita, quando un tumore lo ha colpito costringendolo a riflettere sul significato della vita. Dopo averlo cercato nel comunismo, nel maoismo, lo trova in un "ritiro" sull'Himalaya che lo vedrà rivoluzionare convinzioni e convenzioni. E a diventare, per molti, proprio dopo la pubblicazione post mortem de La fine è il mio inizio da parte del figlio Folco, una sorta di guru. Il film appare ostico, legato troppo alla parola e- nonostante un ottimo Bruno Ganz e unElio Germanobravo ma che soffre un personaggio troppo soffocato (Folco stesso, e pensare che il cosceneggiatore è il figlio di Terzani)- irrimediabilmente noioso.

A difesa della pellicola va detto che si affida abbastanza fedelmente alla parola scritta e che i difetti si possono individuare più nel libro e nell'approccio al tema originario più che nell'opera cinematografica che forse per risultare interessante avrebbe dovuto operare un rovesciamento dal tizianoterzanicentrismo del racconto. Più che i monologhi da guru, forse, sarebbe stato più interessante scoprire gli effetti di una vita come quella del giornalista toscano sui suoi familiari.

Lo sferzante Boris contro i radical chic
Dulcis in fundo, Boris - Il Film. Un gioiello che rispetta le alte aspettative, uno sferzante attacco al sistema cinema così come la serie, con le sue tre stagioni, lo era stato per la tv. Il trio Torre-Ciarrapico-Vendruscolo porta Renè Ferretti- uno scatenato Francesco Pannofino- sul set del cinema che conta, quello d'autore. Il nostro eroe, il re dell'approssimazione e del cinismo catodico, vuole portare La casta, il saggio best seller contro la malapolitica, al cinema. Si gioca tutto, dopo il grande rifiuto alla fiction Il giovane Ratzinger, e non vuole ridursi a fare un cinepanettone petomane.

Riso amaro
E se con miopia molti hanno individuato nell'ironia contro quest'ultimo genere il centro del film, Boris è soprattutto un attacco al cinema d'autore, quello snob e radical chic, spesso molto più disonesto intellettualmente di quella comicità demenziale e volgare. Senza dubbio Boris- Il film è il nostro consiglio della settimana e un'esilarante testimonianza del triste stato dell'audiovisivo in Italia. Medusa, Magnolia (che qui diventa Magnesia), la concorrenza inesistente, tutti i mali italiani vengono fotografati nel piccolo mondo del grande schermo nostrano. Riderete molto. E amaro.

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