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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2011 alle ore 12:16.

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Fabio Novembre per Driade, poltrona «Nemo», 2010 © Settimio BenedusiFabio Novembre per Driade, poltrona «Nemo», 2010 © Settimio Benedusi

Luca Nichetto, designer, Porto Marghera (Venezia) ~ Una recente "performance" di un nostro illustre collega al Ted (conferenza internazionale volta a diffondere buone idee, ndr) sottolineava il fatto che noi tutti siamo protagonisti dell'ultima fase della "civilizzazione umana" e che il nostro scopo dovrebbe essere quello di creare delle buone basi di partenza per chi verrà e vivrà nei prossimi mille-duemila anni. Saremo in grado noi designer/architetti/creativi di lasciare da parte la nostra autoreferenzialità per concentrarci nell'offrire delle buone basi per il futuro?

Massimo Torrigiani, editore e giornalista, Milano ~ Com'è il tempo e quante e quali sono le dimensioni temporali della progettazione?

Paola Antonelli, curatrice del dipartimento Architettura e design del Moma, New York ~ L'industria del mobile italiana è in sintonia con la realtà economica, sociale ed ecologica internazionale e pronta ai cambiamenti che si prospettano con urgenza?

Luca Molinari, critico dell'architettura, Milano ~ Che spazi pubblici si devono immaginare per le comunità miste, conflittuali e complesse del prossimo futuro?

Gianluigi Ricuperati, scrittore e saggista, Torino ~ Nell'era della distrazione compulsiva, come si può restituire al progetto lo stato di concentrazione che merita per crescere, radicarsi, mutare e germinare? Come valorizzare la beatitudine del progetto fecondo in un paesaggio di impulsi sterili, che si moltiplicano a miliardi, come cinguettii del caos?

Emiliano Ponzi, illustratore, Milano ~ Versare acqua in un bicchiere bucato senza mai colmarlo, senza mai dissetarsi del tutto... È questo l'istinto progettuale, tensione tra la visione e la sua realizzazione in un gioco eterno che ci fa sentire vivi? Quanto la modificazione dell'ambiente è esigenza esterna e condivisa, diciamo proveniente da una committenza, e quanto è intima necessità individuale che utilizza la committenza come sfogo a una visione? C'è un fine oggettivo nella progettazione oppure l'appagamento è svegliarsi vedendo che attorno a noi abbiamo realizzato i nostri sogni, che dunque - in qualche modo - stiamo ancora sognando?

Letizia Moratti, sindaco di Milano ~ Non è possibile fare attività politica senza progettualità. Al tempo stesso, però, si ha ogni volta la percezione che i progetti non debbano essere fatti di astrazioni o fantasie irrealistiche. I sogni certo animano i progetti più appassionanti, ma questi si nutrono poi del realismo delle cose fattibili, dell'intreccio con i bisogni reali delle persone e della disponibilità effettiva dei mezzi. In questo non si potrebbe forse dire che la politica è come l'architettura o ancora di più come il design? Vale a dire: si ricostruisce ogni volta con le potenzialità e i limiti dell'esistente, l'importante è avere un'idea che abbia la capacità di riunire davvero le energie migliori delle persone che vivono insieme un determinato spazio. Questa idea è, mi pare, ciò che si chiama un progetto, politico o architettonico che sia. Ricordo di aver imparato che, secondo Aristotele, la politica è una scienza "architettonica": non sarà questo il senso per cui il progetto, questa miscela di realismo e idealismo, è il loro terreno comune?

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