Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 15:32.

My24

Fu questa la strategia da lui adottata nel 1913, quando lanciò una cam-pagna contro la cosiddetta «capitazione», un pagamento richiesto a ogni in-diano che aveva concluso il suo periodo concordato di lavoro nel Transvaal e voleva rimanervi. La tassa non riguardava in nessun modo i nativi ma su-scitò una rivolta tra i lavoratori a contratto, uno sviluppo che Gandhi non aveva previsto. Gli indiani abbandonarono piantagioni, ferrovie, miniere e ogni altra attività che esercitavano nelle città, dando vita a uno sciopero su vasta scala che costituì il primo evento significativo della carriera di Gan-dhi. «Non ero preparato a questo meraviglioso risveglio» disse. «Come un turbine», scrive Lelyveld, il Mahatma viaggiava in treno da un'adunata all'altra, esortando gli scioperanti a riempire le celle fino a farle straripare. (In seguito, gli africani avrebbero usato questa stessa strategia di resistenza passiva nella loro lotta.) Il generale Jan Smuts chiamò l'esercito per repri-mere lo sciopero, cosa che venne fatta con brutalità.
Quando lo sciopero fu revocato, Gandhi venne acclamato dalle folle; or-mai si vedeva come il rappresentante non solo degli indiani appartenenti al-la classe mercantile, ma anche di quelli delle caste più basse, quei lavoratori a contratto di cui in precedenza non si era interessato. Aveva così trovato la sua vocazione, ma il risultato – l'Indian Relief Act del 1914 – era ancora molto lontano dagli obiettivi dell'agitazione. Come i critici dell'epoca, Lel-yveld sottolinea che gli indiani non avevano ancora diritti politici in Suda-frica – e non li avrebbero avuti per un altro secolo. Il sistema del lavoro a contratto venne infine abbandonato, ma questa non era stata una delle ri-chieste di Gandhi.
Mentre si consumavano questi disordini pubblici, Gandhi faceva fronte an-che a dei cambiamenti nella sua vita personale e domestica, a partire dalla fondazione di una piccola comunità rurale autosufficiente nei pressi di Dur-ban, Phoenix Farm, con la sua famiglia e qualche amico. Ognuno doveva prender parte a tutte le attività, dalla redazione e dalla stampa del suo gior-nale, Indian Opinion, fino alla coltivazione della terra. Fu qui che Gandhi mise all'opera i principi della sua vita ideale: il vegetarianismo, le cure na-turali per ogni malattia, l'istruzione domestica per i suoi figli, l'estrema au-sterità in ogni aspetto della vita. La «frugalità» era lo standard su cui misu-rare la dieta: un pasto completo veniva considerato «un crimine contro l'uomo e Dio». Convintosi che «nessun uomo che vivesse la sua vita animale fosse in grado di comprendere l'etica o la spiritualità», fece voto di celibato, una scelta condivisa dalla moglie.
Gandhi non seguiva la tradizionale formula indiana: il suo ashram non si basava sulla religione ma su un umanesimo universale. Come era giunto a questa posizione? Lelyveld ritiene che «se ci fu una singola esperienza dav-vero determinante nel suo sviluppo intellettuale», si trattò senza dubbio della lettura di Il Regno di Dio è dentro di voi di Tolstoy. Il rivoluzionario in-dù Sri Aurobindo arrivò a dire che «Gandhi è un europeo, un cristiano russo in un corpo indiano».
Lelyveld ha scoperto che Gandhi veniva più o meno ad abbandonare la sua famiglia a Natal per diversi mesi alla volta, nonostante le lamentele del-la consorte e del figlio maggiore Harilal che si sentivano trascurati («[Hari-ral] ritiene che io abbia sempre trascurato molto tutti e quattro i ragazzi […] che li abbia sempre messi per ultimi, assieme a Ba» scrisse il Mahatma in tono spassionato). Quando suo fratello Laxmidas lo rimproverò dicendogli che stava venendo meno ai suoi obblighi familiari, lui rispose con serenità che «Ora la mia famiglia comprende tutti gli esseri viventi» e procedette a formarsi una famiglia surrogata composta soprattutto da teosofi europei che condividevano il suo entusiasmo per Tolstoy e Ruskin. Visse per un certo periodo assieme al giovane redattore Henry Polak e sua moglie Millie, quindi andò ad abitare con l'architetto ebreo della Prussia orientale Her-mann Kallenbach. Assieme crearono un'altra «utopia» rurale, Tolstoy Farm, a sud-ovest di Johannesburg; pare che qui Gandhi fosse più felice che mai, godendosi l'amicizia di Kallenbach e facendo picnic e gite in bicicletta.
Si trattava di un'amicizia molto intima – anche romantica, suggerisce Lelyveld – e Kallenbach avrebbe seguito Gandhi nella sua partenza per l'India, nel 1914, se non fosse scoppiata la Prima guerra mondiale e non gli fosse stato quindi interdetto l'ingresso in territorio britannico. Tutti i tenta-tivi di Gandhi di procurargli un visto fallirono; i due amici si sarebbero in-contrati di nuovo soltanto dopo ventitre anni, quando Kallenbach aveva ab-bracciato il sionismo ed era entrato in un kibbutz in Israele.
Gandhi aveva fatto voto di trascorrere il suo primo anno dopo il ritorno in India viaggiando per il Paese in modo da rendersi conto di quali fossero le sue condizioni. Lo fece in treno, in uno scompartimento di terza classe, un'abitudine che avrebbe poi mantenuto per tutta la vita imponendola an-che al suo entourage, che sarebbe diventato enorme (scherzandoci su, il poe-ta indiano Sarojini Naidu disse: «Dio solo sa quanto ci costa mantenere quel vecchio, meraviglioso sant'uomo nella sua povertà!»). La sua fama di leader della satyagraha, in virtù dei suoi trascorsi con gli indiani in Sudafrica, lo aveva preceduto e ovunque andasse si radunavano folle di dieci-ventimila persone, prostrandosi per toccargli i piedi in segno di rispetto, una tradi-zione indiana che lo infastidiva parecchio. «Oh, Dio,» si lamentava «salvami da amici, seguaci e adulatori!».

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi