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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 15:32.

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La fine arrivò nel 1947, quando Manu chiese il permesso di andarsene e Gandhi venne convinto a trasferirsi a Delhi, dove si stava preparando la nuova costituzione (sotto la guida del dottor Ambedkar). Sembra però che Gandhi non fosse interessato a dare un suo contributo; trascorreva invece il suo tempo pregando e digiunando nella casa di un suo vecchio amico, il ric-co industriale G. D. Birla (per ragioni di sicurezza, non poteva fermarsi co-me al suo solito nella colonia degli spazzini), mentre all'esterno i sikh che avevano perso le loro terre finite al Pakistan gridavano «Morte a Gandhi!» e «Sangue per sangue!». Durante uno degli incontri serali di preghiera che te-neva in giardino, l'indù ortodosso Nahuram Godse, che aveva scritto feroci articoli in cui denunciava una presunta accondiscendenza di Gandhi verso i musulmani, entrò portando un'arma nascosta (il Mahatma non voleva che la polizia perquisisse i partecipanti agli incontri) e, spingendo via Manu, che accompagnava il Mahatma, lo colpì di netto. Si racconta che cadde a terra con il nome di Dio («Rama, Rama») sulle labbra, come aveva detto a Manu che sperava di fare; in effetti, sembrava che stesse quasi cercando la morte. Se mai ci fu nella storia una Cronaca di una morte annunciata, questa fu pro-prio la sua. Venne cremato fra scene di caos, confusione e disperazione sen-za precedenti, con milioni di persone che parteciparono al suo funerale (per un'ultima ironia della sorte, fu un funerale di Stato, con tutti gli onori mili-tari); le sue ceneri vennero disperse per tutta l'India e, nel 2010, una piccola parte fu portata sulla costa di Durban, in Sudafrica. Nehru assunse la guida del Partito, chiarendo che «Il Congresso devo ora governare, non opporsi al governo». Nei suoi progetti, erano di importanza cruciale la creazione di un esercito moderno e una rapida industrializzazione; nemmeno lui, però, po-teva aver previsto come la sua visione avrebbe sconvolto totalmente quella di Gandhi.
Quando Lelyveld si è messo alla ricerca di ciò che potrebbe essere rima-sto di Gandhi, ciò che ha trovato, a parte molti archivi e lettere, sono stati alcuni patetici oggetti in polverosi musei – un telaio a mano cigolante, alcu-ne fotografie inghirlandate del «Padre della Nazione» – e qualche fedele gandhiano che, nonostante tutto, vive ancora una vita di sacrificio e di ser-vizio. Tuttavia, restano ancora molte cose che Gandhi riconoscerebbe come l'«eterna India» della povertà e della tradizione. Nello Stato di Noakhali, Lelyveld ha trovato il villaggio di Srirampur, dove Gandhi aveva preso ri-fugio, immobile come se il tempo si fosse fermato. La luce del sole filtra at-traverso le palme, le risaie lo circondano, gli uomini ciondolano attorno alla sala da tè. Sentendo il nome di Gandhi, qualcuno fa un passo avanti per in-dicare i luoghi associati alla sua persona: questo è il punto dove c'era la sua capanna, questo è il tempietto sotto un fico del Banyan dove si attardava. Le voci si fanno sommesse. Il suo nome evoca una formale riverenza, anche fra quelli che non hanno mai conosciuto i dettagli del tempo da lui trascorso qui.
Lelyveld ha demolito così tanti miti e ha accumulato così tante sconfitte che la sua vita di Gandhi potrebbe essere facilmente letta come un'opera in sostanza critica, per quanto costruita con giudizio e attenzione. Dopotutto, per quanto il suo nome sia collegato alla lotta per la libertà in Sudafrica, Gandhi non ha praticamente nessun contatto con l'Africa o il suo popolo. La sua campagna contro l'«intoccabilità» in India ebbe un successo limitato, persino all'interno della sua stessa famiglia e del suo circolo. La nuova co-stituzione ha messo fuorilegge l'«intoccabilità» e ha creato un sistema di posti «riservati» per gli intoccabili – nelle scuole, nei college e negli incari-chi governativi –, ma ciò ha periodicamente condotto ad accesi dibattiti e violenti scontri con coloro che ritengono ingiustificati questi privilegi. L'atteggiamento tradizionale non è svanito e le condizioni di vita per i più poveri e per i molti lavoratori manuali non sono migliorate di molto dai tempi di Gandhi.
La cosa più triste, poi, è che Gandhi non è riuscito a fermare l'antagonismo fra indù e musulmani: quest'ultimo si è trasformato nell'ostilità fra India e Pakistan, sfociata in diverse guerre e in un perduran-te atteggiamento di sospetto fra i due Paesi. Lelyveld descrive nei dettagli l'incapacità di Gandhi di costruire relazioni produttive con altri leader co-me Jinnah e Ambedkar, mentre dice poco riguardo alla felice e fruttuosa col-laborazione con altri, come per esempio Nehru.
Qualcuno potrebbe pensare che l'eredità di Gandhi, nel complesso, sia stata rappresentata in termini negativi; tuttavia, è impossibile negare la pro-fonda simpatia di Lelyveld per il personaggio. Il quadro che emerge è quello di una persona intensamente umana, con tutti i difetti e le debolezze che questo implica, ma anche un visionario con una profonda coscienza sociale e un grande coraggio, che ha dato al mondo un modello di rivoluzione non-violenta dal quale possiamo ancora trarre ispirazione. È stato un modello di rivoluzione sia sul piano più ampio della politica, sia su quello personale e domestico: nulla era privo di importanza agli occhi di Gandhi, e nulla era impossibile. Si era imposto degli standard altissimi, ai limiti dell'impossibile, e lottava personalmente per raggiungerli. Così, se alla fine sembra che sia finito tutto in tragedia, non è perché, scrive Lelyveld, Gan-dhi è stato assassinato, né perché le sue nobili qualità abbiano acceso l'odio nel cuore del suo assassino. L'elemento tragico è che anche lui, come Lear, è stato infine costretto a vedere i limiti della propria ambizione di rifare il suo mondo.

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