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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 08:20.

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La finzione vi condurrà all'azioneLa finzione vi condurrà all'azione

Basta che una finzione sia riuscita e immerga i lettori nell'illusione affinché questo miracolo si produca. Che Lamartine lo notasse solo ne I Miserabili era un modo di riconoscere in questo romanzo un'impresa maggiore una creazione che per il suo irresistibile potere di persuasione, poteva attraverso i lettori eccitati dalle sue pagine, trasformarsi in una forza dirompente della società come quella che, nel giugno 1848, disfacendo le strade di Parigi per armare barricate, mise fine alla sua leadership politica. Le paure di Alphonse de Lamartine faranno ora sorridere molti.

Chi crede più, ai giorni nostri, che un gran romanzo possa sovvertire l'ordine sociale? Nella società aperta del nostro tempo ha attecchito un'idea del romanzo in particolare, e della letteratura in generale, come una forma (se si vuole, superiore) di intrattenimento e di divertimento, una occupazione che arricchisce la sensibilità, stimola l'immaginazione, ma, soprattutto, fa passare un buon momento ai lettori, che li compensa della noiosa routine e delle meschine preoccupazioni quotidiane. Poiché non c'è modo di provare in termini pratici che le più notevoli opere maestre, dalle tragedie di Shakespeare fino ai romanzi di Faulkner, passando per il Don Chisciotte o Guerra e pace, abbiano provocato il minimo disordine politico e sociale, questa idea della letteratura come un'attività divertente e inoffensiva ha finito per ottenere un generalizzato consenso nelle società aperte del nostro tempo. (...)

Ma, nelle società chiuse, di qualunque natura, siano religiose o politiche, succede la stessa cosa? In questo, fascisti, comunisti, fondamentalisti religiosi e dittature militari terzomondiste sono identici: tutti sono convinti che la finzione non è, come si crede nelle ingenue democrazie, un mero divertimento, bensì una mina intellettuale e ideologica che può esplodere nello spirito e l'immaginazione dei lettori, trasformandoli in ribelli e dissidenti. La letteratura, una volta che in una società vengono recise tutte le vie attraverso le quali i cittadini possono nelle società aperte esprimere le loro opinioni, i loro aneliti o gli organi di stampa, i partiti politici, le consultazioni elettorali possono manifestare le proprie critiche, si carica automaticamente di significati che superano quelli strettamente letterari e passano a essere politici. I lettori leggono i testi letterari tra le righe e vedono, o vogliono vedere in essi, quello che non trovano nei mezzi di comunicazione trasformati in organi di propaganda: le informazioni trafugate, le idee proibite, le proteste e i dissensi impediti. Lo vogliano o no gli autori, in tali circostanze, la letteratura comincia a compiere una funzione sovversiva, di pressione e demolizione dell'esistente. (...)

Lamartine, senza saperlo, e volendo piuttosto affossare il romanzo di Victor Hugo nel discredito, rese un superbo omaggio a I Miserabili. Perché difficilmente si può elogiare l'impresa creativa di uno scrittore più che affermando che la forza contagiosa che deriva dalle sue pagine è tanto grande da suggestionare il retto raziocinio dei lettori, convincendoli che le sue chimeriche avventure, i suoi smisurati personaggi, le sue truculenze e deliri sono né più né meno che la vera realtà umana, una realtà possibile e conseguibile, realtà che i cattivi governi e le cattive arti dei malvagi, detentori dei poteri terreni, hanno rubato agli esseri umani che sfruttano e dominano, ma una realtà che gli uomini possono recuperare, concretizzare, ora che la conoscono e che l'hanno vista e toccata nella lettura, se, animati e spinti da quest'ultima, decidono di agire.

Non c'è maniera di dimostrare che I Miserabili abbiano fatto avanzare l'umanità neanche di qualche millimetro verso quel regno della giustizia, della libertà e della pace verso il quale, secondo la visione utopica di Victor Hugo, si incammina l'umanità. Ma non esiste neanche il minimo dubbio che I Miserabili sia una di quelle opere che nella storia della letteratura più hanno fatto desiderare a uomini e donne di tutte le lingue e culture un mondo più giusto, più razionale e più bello di quello in cui vivevano. La minima conclusione che se ne può trarre è che, se la storia umana avanza, e la parola progresso ha senso, e se la civiltà non è un mero simulacro retorico bensì una realtà che fa poco a poco retrocedere la barbarie, qualcosa dell'impeto che ha reso possibile tutto ciò deve essere venuto – e continua ancora a venire – dalla nostalgia e dall'entusiasmo trasmessi ai lettori dalle gesta di Jean Valjean e monsignor Bienvenu, di Fantine e Cosette, di Marius e Javert e di quanti li assecondano nel loro viaggio verso l'impossibile.

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