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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2011 alle ore 08:21.

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È l'anno internazionale della chimica perché per celebrare il centenario del secondo premio Nobel che Marie Curie ricevette, da sola, dopo quello del 1903 condiviso con il marito Pierre e Henri Becquerel per la fisica e i lavori sulla radioattività. Il governo italiano ha decretato una pausa di riflessione sulle applicazioni delle sue ricerche, non su quella dei raggi X che lei applicò alla medicina durante la Prima guerra mondiale, per poi inventare, progettare e far costruire l'ambulanza radiologia; detta «la petite Curie» e guidarla fino agli ospedali sul fronte, insieme alla figlia maggiore. Nel 1918 è di nuovo una gloria nazionale.
Proprio nel 1911 era stata la protagonista vilipesa dello "scandalo del secolo" come raccontano Susan Quinn in Marie Curie (Bollati Boringhieri, 1998) e Barbara Goldsmith in Obsessive Genius (Norton, 2004). Per la stampa che otto anni prima l'aveva descritta come una madre devota e solerte aiutante di Pierre, l'esemplare e severa Madame Curie era diventata la "veuve Sklodowska", la "polacca" e... non aveva mica difeso l'innocenza del colonnello Dreyfus? Magari ebrea. Le polemiche iniziano in gennaio, a proposito della sua candidatura all'Accademia delle scienze di cui il marito aveva fatto parte. Da quando era morto nel 1906, era lei a dirigerne il laboratorio, a tenerne i corsi in Sorbona e le sue pubblicazioni erano eccezionali, ma come osava? I quotidiani clericali, monarchici e nazionalisti attaccano la straniera che aspira a una poltrona riservata a maschi eccelsi e francesi veri. Se passa una donna «il rivolo diverrà un torrente e porterà via anche gli argini», scrive «L'Intransigeant». Madame Curie faccia "un beau geste" e ritiri quella candidatura. Lei non lo fa. Le accademie riunite votano a maggioranza l'inammissibilità di una donna, tanto più una già accolta dell'accademia delle scienze svedese, russa, ceca, polacca e americana. Xenofoba e antisemita al suo solito, «L'Action Française» titola «È la sconfitta di Dreyfus». La prima.
Nell'estate 1910, dopo quattro anni di lutto stretto, Marie Curie era comparsa nel salon della romanziera "Camille Marbo", moglie di Emile Borel, il direttore dell'«Ecole Normale». Indossava «un abito lungo bianco con una rosa sul seno... qualcosa in lei segnalava una resurrezione», scrisse poi l'amica, dev'essersi innamorata. Di un uomo più giovane, avrebbe appreso dai giornali, avvenente, sportivo, occhi neri, baffi a manubrio, sposato con quattro figli, il fisico Paul Langevin. La moglie Jeanne lo fa pedinare e rubare nel piccolo appartamento dove gli amanti si ritrovano le lettere di Marie a Paul. Manda il proprio cognato nonché redattore del «Petit Journal» dalla Sklodowka ad avvisarla... Consigliati da amici e colleghi, Paul e Marie non cedono al ricatto, continuano a incontrarsi e a fine ottobre raggiungono Einstein. Rutherford, Planck, il gotha della fisica al Congresso Solvay, in Belgio.
Rientrano a Parigi il 4 novembre per vedere sul «Petit Journal» il titolo in prima pagina «Histoire d'amour: Madame Curie et le professeur Langevin». In un'intervista la madre di Jeanne racconta che la figlia ha le prove dell'infedeltà del marito il quale da tempo trascorre settimane all'estero con la polacca, a volte portandosi appresso i due figli maggiori. Quanto ai due amanti, conclude l'articolo, nessuno sa dove si trovino. Persino «L'Intransigeant» dubita della notizia perché «Mme Langevin non parlava d'altro che creare problemi a Mme Curie sin dalla sua candidatura». Il «Petit Journal» ritratta, pubblica una lettera di "M. Curie" sulla «pazza stravaganza delle asserzioni circa la mia scomparsa insieme a M. Langevin». Nel caso uscissero altre illazioni farà querela e chiederà «i danni con gli interessi, somme considerevoli che verranno utilizzate nell'interesse della scienza».
Il 6 novembre sul «Petit Journal» escono però le dichiarazioni di Jeanne: quei due non tentino di screditarmi «posso ridurre in polvere il loro progetto pubblicando anche una sola delle lettere in mio possesso». Il giornalista aggiunge che «sta per accadere un grave episodio, destinato a gettare luce nuova su questa sensazionale vicenda». Accade che il 7 novembre il Nobel è assegnato a Marie Curie, scrive la Reuters, per i contributi alla chimica, in particolare per aver scoperto il radio e il polonio, «pubblicato nel 1907 il peso atomico del radio dopo una difficile purificazione dell'elemento e aver ottenuto il radio metallico nel 1910». Nessuna eco sui giornali francesi: la notizia è che Jeanne ricorre in tribunale per ottenere la separazione e la custodia dei figli.
La vicenda si fa sempre più sensazionale e preoccupa alcuni accademici svedesi che avevano votato a favore della seduttrice. Subito informati dell'affaire du siècle erano stati rassicurati dall'ambasciatore a Parigi: gli interessati erano in città e dormivano ciascuno nella propria residenza. Ma la situazione precipita, frammenti di lettere escono sul «Petit Journal» e altre testate. I giornalisti assediano la casa di Marie, ne aspettano le figlie all'uscita della scuola finché lei si rifugia dai Borel, dove intellettuali, artisti, politici, femministe vengono a renderle omaggio, compreso Paderewski arrivato dalla Polonia a suonare per lei. Ma Jeanne la aspetta davanti all'«Ecole Normale», le urla insulti e minacce di morte, il Consiglio dei ministri discute della sua espulsione dal paese, giornalisti pro – e anti – Marie si battono in duello, e con un capo-redattore anche Langevin che ha per testimone Paul Painlevé (Painlevé! Se me lo raccontavano a scuola, sceglievo lo scientifico.) Nessun ferito, ma per la stampa ghiotte avventure all'alba. Il processo però si ferma: Marie consegna altro denaro a Langevin e Jeanne ritira la denuncia. (Nel 1914 Langevin torna sotto il tetto coniugale, poi avrà con una segretaria un doppio ménage tollerato dalla moglie, e con le figlie di Marie dividerà i proventi di un brevetto per una sua invenzione.)

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