Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 04 maggio 2011 alle ore 09:06.

My24
Ludwig Wittgenstein nel sessantennale della morteLudwig Wittgenstein nel sessantennale della morte

Sarebbe bastata una pallottola ben diretta per cancellare quest'opera. Un pezzetto di piombo contro l'architettura di un genio. Forse Wittgenstein era perfettamente cosciente di tale rischio. In ogni caso, è lecito pensare che in bilico sul rasoio della più grande tragedia universale, le sue righe si siano nutrite di forza e disperazione fino a diventare eterne. Come se l'assurdo di quel luogo le avesse penetrate e purificate.

Nel settembre del 1919, a Vienna, si liberò interamente della sua parte di eredità lasciandola al resto della famiglia. Dovette impiegare molto tempo a vincere le resistenze del notaio e delle sorelle, che non capivano quel gesto assurdo. Nessuno più riconosceva, in quell'individuo dallo sguardo duro e misticamente convinto di sé, il giovane Ludwig che avevano abbandonato cinque anni prima.

Nel 1921 la pubblicazione del Tractatus in tedesco, e nel 1922 nell'edizione definitiva inglese a cura di Ramsey e Ogden: un libro che secondo lo stesso autore è soltanto una scala che va gettata una volta salita, perché — nientemeno — risolve tutti i problemi della filosofia, ma lascia intoccato il problema principale: "persino nell'ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta."

Eppure, nonostante la lapidaria bellezza di questa frase, la storia non finì affatto, né le domande. Mentre il Circolo di Vienna spulciava ammirato il suo lavoro, si perdeva nei villaggi austriaci a insegnare — con una certa violenza, pare — ai bambini delle scuole elementari. La guerra con se stesso continuava, e nel silenzio più assoluto.

Ma quando si ritrovò in Inghilterra, di nuovo nella rete di Cambridge, successe qualcosa. L'economista italiano Piero Sraffa gli mostrò il più italiano dei gesti — fece scivolare il dorso della mano sul mento — e gli chiese: "Qual è la forma logica di questo?" E Wittgenstein vide aprirsi un nuovo, sconfinato universo di domande: il linguaggio ideale del Tractatus non era sufficiente a spiegare la generosità delle forme della vita.

Iniziò così il suo nuovo periodo di riflessione — il cosiddetto secondo Wittgenstein — fu forse il più celebre, quello dedicato ai giochi linguistici: quello che aprì a tutto il pensiero anglosassone sul "linguaggio ordinario". Un periodo di continue scoperte, interrogazioni profonde, lezioni piene di pathos e rabbia agli allievi di Cambridge. Un periodo che per i decenni successivi ha influenzato pesantemente filosofi come Putnam, Dummett, Bouveresse e Diamond: un periodo ricco di frutti rari come le Ricerche filosofiche e il libretto Sulla certezza.

Lucidità sino al tormento. Metodo, passione e umiltà. Un incalzare di domande, di esempi, di rituali inventati per esemplificare un dubbio. La biografia di Wittgenstein è un intreccio allo stesso tempo distantissimo e costante con la sua filosofia. Per lui anche la più ardita speculazione logica aveva un intimo riflesso etico.

Morì sessant'anni fa. Tutta la sua esistenza può essere raccolta nel titolo della stupenda biografia che gli ha dedicato Ray Monk: Il dovere del genio. Il talento che recava non conosceva alcun compromesso. Il genio ha soltanto doveri e nessun diritto.

Il problema fondamentale che si pose per tutta la vita, e in particolar modo prima di partire per il fronte, fu: com'è possibile essere un uomo? E a questa domanda cercò una risposta che sapeva già, forse, essere assurda: ma in cui decise di credere con ogni forza.

L'ultima, celebre riga del Tractatus dice così: Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere. In tale zona di buio rientrerebbero anche tutte le considerazioni sulla giustezza o meno delle guerre, le idee di bene o male che ci siamo ritagliati, la speranza, l'amore, la bellezza, l'ideale di una vita felice. Tutto ciò che si dice riguardo a questo è vano. L'unico modo per capire, è mostrarlo. Wittgenstein voleva mostrarlo: seguendo la via forse più difficile e più contorta, ma anche secondo il suo insindacabile giudizio, l'unica possibile.

La notte della sua fine, la moglie del dottor Bevan gli disse che i suoi amici sarebbero arrivati con il giorno. Forse con questo voleva invitarlo a tener duro, a non cedere ancora alla malattia che lo stava divorando. Wittgenstein si erse a fatica sul cuscino , e biascicò la sua ultima frase: "Dica loro che ho avuto una vita meravigliosa."

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi