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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2011 alle ore 18:10.

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Il machete di Danny Trejo o i pugni di Tatanka? Nelle sale arriva un weekend per veri duriIl machete di Danny Trejo o i pugni di Tatanka? Nelle sale arriva un weekend per veri duri

Un cast in ottima forma, oltre a Danny Trejo è da segnalare un ironico Robert De Niro nei panni di un senatore americano, riesce in parte a sopperire alla sensazione che ciò che poteva divertire in un trailer rischi pesantemente di annoiare, e di essere allungato allo sfinimento, nello spazio di un film di oltre un'ora e mezza.

Un altro duro di Hollywood
Altro celebre duro di Hollywood è Vin Diesel, che torna a vestire i panni di Dominic Toretto in «Fast & Furious 5» di Justin Lin. Dopo Los Angeles, Miami, Tokyo e il deserto messicano, questa volta l'azione di una delle saghe più adrenaliniche del nuovo millennio (il primo capitolo, diretto da Rob Cohen, è datato 2001) si sposta a Rio de Janeiro. La metropoli brasiliana sarà il centro di una grande rapina che Toretto e la sua squadra attueranno ai danni di un ricco affarista corrotto.

Fin dalla primissima sequenza, in cui il personaggio di Vin Diesel si trova su un camion per detenuti, «Fast & Furious 5» mette in scena quello che il suo pubblico di riferimento vuole vedere: uno spettacolare inseguimento automobilistico. Da qui inizia una serie di situazioni rocambolesche ad alta tensione, che non trovano praticamente pause nel corso dell'intera (troppo lunga) durata del film.

Nonostante una sceneggiatura trita e ritrita, «Fast & Furious 5» riesce comunque a soddisfare il bisogno di azione che tanto pubblico ricerca nel cinema contemporaneo: lo dimostrano le recensioni americane (mai così positive per un titolo della saga) e soprattutto gli oltre 80 milioni di dollari incassati oltreoceano in un solo weekend di programmazione. Se Vin Diesel e Paul Walker seguono ormai i cliché recitativi dei loro personaggi, l'aggiunta di Dwayne Johnson (l'ex wrestler The Rock) dà nuova linfa a un prodotto comunque coerente, nonostante gli evidenti difetti, che fa del semplice intrattenimento la sua unica ragione d'essere.

Tatanka l'italiano
Non ci sono però soltanto pellicole a stelle e strisce fra le uscite del weekend aventi come protagonista la violenza: da segnalare è anche l'italiano «Tatanka», il secondo lungometraggio di Giuseppe Gagliardi dopo «La leggenda di Tony Vilar» del 2006.

Tratto da uno dei racconti presenti nel libro «La bellezza e l'inferno» di Roberto Saviano (alla seconda trasposizione cinematografica dopo «Gomorra»), «Tatanka» racconta la storia di Michele, un ragazzo della periferia di Caserta, che riesce a emanciparsi da un destino segnato nella camorra grazie al suo talento per la boxe.

Nei panni del protagonista non c'è un attore, ma il pugile Clemente Russo, medaglia d'argento alle Olimpiadi di Pechino 2008, alla cui vita si è direttamente ispirato Saviano per costruire il personaggio del suo racconto. Dopo un'ottima parte iniziale, «Tatanka» cala alla distanza risultando un'interessante parabola esistenziale, a cui manca però un pizzico di fascino cinematografico per dirsi completamente riuscita.

Il regista è bravo a dirigere gli attori e a coordinare perfettamente le immagini con una toccante colonna sonora, ma il rischio di rifarsi eccessivamente allo stile di «Gomorra» di Matteo Garrone è spesso dietro l'angolo.

Il melodramma di Lawrence
Tra i tanti litiganti del weekend, quello che potrebbe però godersi i favori del pubblico (soprattutto di quello femminile) è Robert Pattinson per «Come l'acqua per gli elefanti» di Francis Lawrence. Tratto dal noto best seller di Sara Gruen, il film è narrato in prima persona dal novantenne Jacob Jankowski, che ricorda la sua gioventù passata nel circo dei fratelli Benzini come veterinario e addestratore di elefanti. In quegli anni conobbe Marlena, l'acrobata della compagnia e moglie del violento direttore del circo, della quale s'innamorò perdutamente.

Dopo i fantascientifici «Constantine» del 2005 e «Io sono leggenda» del 2007, il regista austriaco Francis Lawrence cambia genere e passa al melodramma, inciampando con entrambi i piedi su tutti i possibili rischi del caso. Fin dalle prime battute punta su un registro retorico e patetico, che rischia di stancare ancor prima che inizi la storia vera e propria.

Per sua sfortuna non viene aiutato né dalla fotografia troppo patinata del solitamente bravo Rodrigo Prieto (tra i titoli per cui ha lavorato «La 25° ora» di Spike Lee e «21 grammi» di Alejandro Gonzalez Inarritu), né dalla melensa sceneggiatura di Richard LaGravenese, piena di svolte narrative talmente poco credibili da risultare involontariamente ridicole.

Christoph Waltz, nei panni del direttore del circo, cerca faticosamente di tenere su la baracca dimostrando di non essere soltanto la meteora di «Bastardi senza gloria» di Quentin Tarantino, mentre Robert Pattinson appare sempre più imballato man mano che passano i minuti.

Dopo averlo visto in questo film, risulta sempre più curioso che l'attore di «Twilight» sia stato scelto da David Cronenberg come protagonista del suo prossimo film, «Cosmopolis» tratto dal romanzo di Don DeLillo, in uscita nel 2012.

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