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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2011 alle ore 08:14.

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Ma anche tra gli studiosi russi si svilupparono varie opinioni sul ruolo storico dei Mongoli. Tra gli intellettuali russi emigrati dopo la rivoluzione si diffuse negli anni Venti una teoria che ebbe sostenitori illustri: l'Eurasianismo. Il manifesto di fondazione di questa corrente di pensiero può essere considerato il testo di Nikolai Trubetskoy, professore di linguistica a Sofia e poi a Vienna, Europa e Umanità, pubblicato nel 1920. L'Eurasianismo lanciava un guanto di sfida all'egemonia culturale dell'Europa Occidentale, da lui definita romano-germanica, che voleva dare carattere e valore universale alla civiltà europea, e imporre quindi la propria nozione di progresso ad altri Paesi e continenti. Alla Russia si rivendicava una storia diversa, generata dall'incontro tra due civiltà, quella europea cristiana e quella asiatica. La conquista mongola, favorendone l'incontro, aveva posto le basi per uno sviluppo originale e distinto, ma non meno valido, rispetto all'Europa "romano-germanica". Storici russi "eurasianisti" come George Vernadsky (1887-1973), emigrato negli Stati Uniti nel 1927, si dedicarono a riesaminare il periodo di dominazione mongola come momento di creazione di una Russia "eurasiatica", con istituzioni e caratteristiche orientali. In ciò si superava l'interpretazione convenzionale, sposata peraltro dalla storiografia sovietica, che vedeva il «giogo mongolo» come un periodo buio che aveva bloccato lo sviluppo della società russa causandone il ritardo rispetto alle società occidentali, e quindi inibendone la "modernità".
Su questo sfondo intellettuale e politico, la vita di Gengis Khan raccontata ed esaltata nel libro di Grousset è comunque affascinante in se stessa. Il destino glorioso e sanguinario annunciato alla nascita, le prove alle quali il giovane Temüjin (futuro Gengis Khan) è sottoposto, la lotta per la sopravvivenza, le complicate alleanze, i sacrifici personali, gli atti di coraggio e di codardia, fino al riconoscimento della sua persona alla guida del popolo mongolo e l'inizio dell'espansione verso terre straniere tessono una saga di dimensioni epiche. Anche il recente film di Sergey Bodrov (Mongol, 2007) si ispira inevitabilmente, anche se con lamentevoli libertà, alla Storia Segreta. Il libro di Grousset è senz'altro un'opera datata, da lungo tempo superata da lavori di maggiore livello scientifico, e chiunque volesse studiare seriamente la vita di Gengis Khan dovrebbe leggere la traduzione in inglese di Igor de Rachewiltz (The Secret History of the Mongols, 2004). Ma se da un lato proporre oggi il lavoro di Grousset è una scelta "antiquaria", essa resta valida per la qualità letteraria e di «alta volgarizzazione» in cui l'orientalista francese eccelleva. Come tale, resta un libro di grande fascino, sicuramente superiore ad altre biografie disponibili in italiano.
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