Il Sole 24 Ore
Stampa l'articolo Chiudi

Quando il «sì» suona in 2.0

Giuseppe Antonelli


Sul rapporto tra lingua italiana e nuovi media circolano tante leggende. Una delle più diffuse è quella dello studente universitario (nella variante misogina, una studentessa) che durante un esame parla di un tal Nino Biperio, mal interpretando il nome Bixio. «Da tempo si è deprecato che l'uso degli sms stia abituando i ragazzi a un sotto-italiano essenziale» commenta recentemente Umberto Eco, riferendo la storiella in un convegno al Quirinale.
Peccato che il primo a riportare l'aneddoto sia stato Giampaolo Pansa in un articolo del lontano 1999 (È la malattia del biperio che uccide l'università), in cui mancava qualunque riferimento a Internet e messaggini, ancora troppo poco diffusi per essere giudicati colpevoli. Il morbo-killer, se c'è, non è partito da lì. E poi, come osserva con sottile ironia Mirko Tavosanis in una nota del suo L'italiano del web, l'esempio non è ben scelto. La x, nella tradizione di scrittura del genovese, rappresenta il suono di una g "scivolata" e dunque la pronuncia corretta del cognome sarebbe pressappoco Bisgio: anche Bixio, storicamente, è un errore di lettura (chi di biperio ferisce, di biperio perisce).
Il fatto è che, alla prova di un'analisi scientifica, quasi tutte le opinioni correnti intorno alla lingua del web si rivelano leggende. Scrostato dalla superficie dei vari xké, c 6, tvb e simili – tutti fenomeni rispondenti peraltro a meccanismi vecchi, quando non antichi – l'italiano di Internet non appare poi così diverso dall'italiano del l'uso. Dell'uso scritto, s'intende: perché, con la parziale eccezione delle chat, i testi presenti nel web hanno ben pochi elementi in comune col parlato, anche se qua e là cercano di imitarlo.
Né costituiscono – come da più parti si continua a dire – lo stadio più avanzato dell'imbarbarimento linguistico. Secondo un calcolo a campione, le grafie errate che lo Zingarelli considera più frequenti (anedottico, areoporto, esterefatto, efficienza e simili) risultano nel web meno del 5% rispetto a quelle corrette; nei blog, in particolare, rimangono al di sotto dell'1%, proprio come nei siti dei giornali. Nei blog letterari, per contro, s'incontrano verbi ricercati come espletare, esperire, vaticinare, ergere con una frequenza molto maggiore rispetto al sito della «Repubblica». «Non c'è dubbio – scrive Tavosanis – che, a paragone con i siti istituzionali e i blog, i forum si presentino come strumenti di comunicazione molto più informali». Nondimeno, anche nei forum la sintassi mostra una distribuzione tra frasi semplici e frasi complesse simile a quella degli articoli del «Corriere della sera».
Certo, parlare di «italiano del web» vuol dire inseguire un'astrazione, un po' come cercare la pantera odorosa dei bestiari medievali, di cui dappertutto si sentiva il profumo senza che nessuno fosse mai riuscito a vederla. Le tipologie testuali descritte sono le più disparate, da Wikipedia fino ai piccoli annunci in bacheca, dal forum del l'Accademia della Crusca fino ai siti prodotti con sistemi di composizione automatica per attrarre traffico attraverso i motori di ricerca («vendo cialis scelta di un frutto specifico per gli ex: inquinamento eccessivo, affaticamento e l'odore non è vantaggioso»): le caratteristiche linguistiche, come si può immaginare, non sono sempre le stesse.
Nelle pagine personali di Facebook (quasi 20 milioni di iscritti in Italia), i messaggi sono in media più brevi, e le emoticon – le faccine che servono a rendere gli stati d'animo – risultano più frequenti, soprattutto nel caso di utenti giovani o di sesso femminile. Ma «dal punto di vista della scrittura e della lettura è comunque notevole che una parte così ampia della popolazione italiana (soprattutto nelle fasce d'età più giovani) abbia un contatto quasi quotidiano con un ambiente in cui i testi prodotti attraverso i tradizionali canali di scrittura vengono messi sullo stesso piano del materiale inserito dagli utenti stessi».
Lettura e scrittura: qui sta il punto. Il tempo che un italiano trascorre mediamente su ogni pagina web è di 46 secondi. Si tratta con ogni evidenza di un'attività ben diversa dalla lettura tradizionale, che oggi risulta assai meno diffusa: gli italiani che leggono almeno un libro al mese superano a stento il 20%; quelli del tutto estranei ai mezzi a stampa sono quasi il 40%. Mentre il digital divide (il ritardo culturale di chi non ha accesso ai mezzi digitali) sta diminuendo, il press divide è in rapido aumento. La nostra "dieta mediatica" si fa sempre più leggera: poca ciccia – verrebbe da dire – quasi stessimo diventando vegetariani culturali.
Quanto alla scrittura, oggi si scrivono soprattutto messaggi di posta elettronica (lo fa circa un terzo della popolazione italiana) e messaggini col telefonino (circa i due terzi). Dall'epistola all'e-pistola: la straordinaria fortuna delle varie forme di neoepistolarità tecnologica ha provocato un'imprevedibile diffusione dell'uso scritto della lingua. Moltissime persone che fino a poco tempo fa non scrivevano un rigo oggi producono incessantemente testi digitati. La caratteristica principale di questi testi non sta nella grafia o nel lessico, e neanche negli aspetti sintattici: sta nella loro frammentarietà. Non sono solo testi brevi, sono incompleti: singole battute di un testo molto più ampio costituito dall'insieme del dialogo a distanza. «Frammenti di un discorso ordinario», li chiama Elena Pistolesi in un suo saggio: non ipertesti, ma ipotesti. Questo spiega perché li possono scrivere – e ovviamente leggere – anche i tanti italiani che non toccano mai la carta stampata, anche i tanti che quando leggono un articolo di giornale non sono in grado di capire cosa dice (ricerche recenti dicono che si trova in queste condizioni circa un quinto dei nostri quindicenni).
Forse, allora, saper digitare non equivale a saper scrivere; o meglio: l'italiano digitato nelle e-mail, negli sms, nelle chat è diverso dall'italiano scritto tradizionalmente inteso. È l'e-taliano: una varietà che per le persone cólte rappresenta solo una scelta stilistica, uno dei tanti registri possibili (l'italiano dell'uso immediato). Ma per tutti quelli che scrivono soltanto in queste occasioni potrebbe diventare l'unico modo di scrivere: l'unica scelta possibile, ghettizzante e socialmente deficitaria. L'e-taliano come italiano neopopolare, mutazione tecnologica di quello usato per secoli da chi, sapendo a malapena tenere la penna in mano, doveva cimentarsi con la scrittura. Magari – come Totò e Peppino – per chiedere a una malafemmena di lasciare in pace il nipote, «xkè il giovan8 è studente ke studia ke si deve prendere 1 laura».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Mirko Tavosanis, L'italiano del web, Carocci, Roma, pagg. 252, €, 21,00

la crusca e il t9
Il titolo non lascia spazio alla fantasia: «Se telefonando... ti scrivo.
L'italiano al telefono, dal parlato
al digitato» raccoglie gli interventi di un convegno tenuto all'Accademia della Crusca nel 2007. Ed effettivamente nei molti interventi (da Biffi ad Antonelli, da Ortoleva a De Blasi) del libro, ora curato
da Nicoletta Maraschio
e Domenico De Martino (pagg. 234, s.i.p.), il nuovo italiano da telefonino è analizzato con precisione, competenza e qua e là brio.
Un libro da consigliare
a chi ha già nostalgia del T9
(magari è passato ai tablet)
ma per capire come sia sempre in movimento la lingua.
E un'istituzione come la Crusca.