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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2011 alle ore 16:20.
«Dopotutto, perché non chiuderla? L'Accademia della Crusca aveva un senso nel 1650, o nel 1950, quando a decidere come si parlava e come si scriveva erano i professori. Adesso, con trecento canali satellitari e il più alto tasso d'immigrazione della nostra storia, chi li ascolta più? Dunque dichiariamo defunta questa parvenza di Autorità e spendiamo i nostri soldi in cose più sensate».
Questa, che non è la mia posizione, è però una posizione legittima (e mi aspetterei anzi che una destra tecnocratica seria la facesse propria). Solo che poggia su un equivoco.
Perché istituzioni come l'Accademia della Crusca non hanno il compito di proteggere la nostra lingua bensì quello di proteggere la conoscenza della nostra lingua. È diverso. Nel primo caso si danno delle regole; nel secondo s'insegna a studiare e a riflettere.
Questa difesa della conoscenza avviene in due modi: (1) lo studio scientifico della lingua e (2) l'istruzione diffusa o, con un termine spesso abusato, la divulgazione. Ora, mentre lo studio scientifico può stare benissimo senza la divulgazione (cinquanta accademici con barba bianca che compilano il Vocabolario del buon uso toscano in mezzo a un popolo di milioni di persone che si esprime soltanto in dialetto: è l'Italia di ieri, il mondo di ieri), la divulgazione non può stare senza lo studio scientifico: il che significa che se non formiamo degli specialisti della lingua, e se non tuteliamo i luoghi in cui si formano, anche l'istruzione diffusa, la competenza linguistica diffusa finisce per indebolirsi.
Alla Crusca si fanno entrambe le cose. Si lavora per migliorare l'istruzione diffusa; e si lavora scientificamente sulla lingua. E per fare un esempio, il progetto del Tesoro della lingua italiana delle origini, cui la Crusca collabora, mette insieme splendidamente le due cose, scienza e divulgazione. Si tratta di una gigantesca banca-dati che comprende tutte le parole attestate in italiano dalle origini fino al 1400.
Su questi dati, i linguisti del TLIO stanno compilando un dizionario online (www.vocabolario.org) che è già oggi uno straordinario strumento per la conoscenza del nostro Medioevo. Vogliamo sapere se esiste la parola pocca? Esiste, in due lettere del Trecento, ed è una ‘unità di misura della lana'. Vogliamo sapere quali sono i significati della parola lanciuola? Almeno tre: ‘arma da lancio', ‘strumento per i salassi', ‘lo stesso che arnoglossa' (e vedi, con un clic, la voce arnoglossa).
Difendendo istituzioni come la Crusca non bisogna mai sottrarsi all'obiezione più ovvia: e perché mai il contribuente italiano dovrebbe destinare parte delle sue tasse all'accertamento del significato delle parole pocca, lanciuola e arnoglossa? Risponderei così. Per migliorare l'istruzione e la civiltà di un popolo non basta volerlo. Esiste una catena di cause e di effetti, esistono delle mediazioni. Ciò significa, da un lato, che se non tratteremo bene le nostre scuole elementari e medie non potremo poi avere quei famosi ‘centri d'eccellenza' con cui ci sfonda le orecchie la sciocca retorica dei media.
Ma ciò significa anche, dall'altro, che se non proteggeremo le istituzioni in cui si studia e si fa ricerca al più alto livello (e ad alto livello ci si occupa anche, per l'appunto, di pocche e di lanciuole) avremo insegnanti sempre meno capaci, un'opinione pubblica sempre più cieca e irrazionale, un divario culturale e scientifico sempre più marcato nel confronto con gli altri paesi. Il problema più grave è che il lavoro di queste istituzioni non si vede: sia perché richiede anni, e non minuti, sia perché non è agevolmente traducibile in immagini. Ma quella che si vede, a lungo andare, è l'assenza di questo sotterraneo, invisibile lavoro di civilizzazione. Se uno guarda Parigi e poi guarda Kinshasa nota varie vistose differenze: una ragione ci dev'essere.
Scrivici a salvalacrusca@ilsole24ore.com
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