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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2011 alle ore 09:40.

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Illustrazione di Domenico RosaIllustrazione di Domenico Rosa

Ci sono inoltre i critici-sociologi (anche qui con rispetto e ammirazione per i sociologi veri). A prima vista, si direbbero simili ai critici-preti. Come a questi, anche a loro non importa il film quanto la verità che sta prima del film. Solo che intendono una verità non rivelata, ma empirica e statistica, per così dire. Capita dunque che riempiano i loro discorsi di riferimenti decisi e decisivi alla società e alla storia, e nei casi più disperati alla cronaca. Se non esagerano, son quasi innocui. Leggerli è come bere un bicchier d'acqua, non sempre fresca: una volta giù, non ci si pensa più.

Tralasciamo i critici-riassuntori, per i quali i film, e forse il mondo intero, non sono che trama (osserviamo però che non giudicano – proprio non ci riescono –, e dunque fanno da contrappeso salutare a molti colleghi meno timidi, o preti o profeti o sociologi che siano). Quali altri tipi ci restano, per completare la nostra fenomenologia minima? Ognuno ci aggiunga quelli che vuole. A noi interessa la questione opposta e speculare: c'è un modo giusto d'esercitare il mestiere?

Qui le cose si fanno difficili. Occorre partire da lontano. Un critico, infatti, dovrebbe aver dietro di sé una storia lunga, o almeno non troppo corta. Inizia, questa storia, con il piacere d'essere un giovane spettatore, libero come chiunque altro di divertirsi come vuole, e in diritto di farlo come può. A un certo punto la "trama" si complica: i fatti della vita, si tratti di necessità o di caso, lo portano a prendere molto sul serio quello che vede. Ci pensa, ci ragiona, ne discute. Per la prima volta incontra il rischio che ne nasca un mestiere.

Il nostro apprendista inizia dunque a "criticare": entra nel corpo del film, tra le sue immagini, e tenta di separarle, di analizzarle. Ne cerca la verità. Che la trovi o non la trovi, non è più uno spettatore libero, e ancor meno selvaggio. Smette di divertirsi.

Al cinema non va più (solo) per piacere, ma (quasi) per dovere. Gli capita persino di far l'agrimensore. Cocciuto, prende le misure di quel che vede e sente, e le annota su tristissimi taccuini. Tutto questo dura anni. Quel che ne verrà è imprevedibile. Diventerà prete, profeta, sociologo? Il peggio è che diventi riassuntore, o addirittura imbonitore.

Supponiamo che l'apprendista sia di buona volontà, e fortunato. In questo caso, dopo anni di doveri, a un certo punto scopre che tutto quello scavare, tutto quel misurare, tutto quell'analizzare non gli pesano più. Meglio, scopre che non è più lui a fare il lavoro grosso, tanto necessario quanto poco felice, ma una presenza obbediente e silenziosa in lui: una specie di servocritico automatico (nel senso del servosterzo, per intenderci). Nessun taccuino si mette più tra lui e lo schermo. È tornato spettatore, libero ma un po' meno selvaggio. Ora ha più occhi, più orecchi, più sensibilità. Per il resto si diverte, o si annoia, come chiunque altro.

Tuttavia, ancora non è critico. Non lo sarà fin quando non riuscirà a diventare più che spettatore. E però non deve smettere di esserlo. Anzi, continuare a esserlo gli è indispensabile, se vuole anche diventar critico.

Quel che gli tocca, ora, è aggiungere qualcosa alla sua passione (e ancor più al suo servocritico). Deve dar voce e forma a quello che ha visto, udito, sentito. Insomma, deve scrivere.

Solo quando scrive lo spettatore, anche il migliore fra gli spettatori, è davvero critico. Come l'autore di un film sceglie e monta immagini, così il critico sceglie parole e le mette in sequenza. E non è una supposta verità ultima del film che gli preme, e che vuole esprimere. Sa che la (scrittura) critica non è una scienza, e ancor meno un processo, ma un genere letterario. Essendo spettatore, appunto, sa anche che le verità di un film sono tante quanti gli uomini e le donne in platea. Tra esse c'è la sua, personale come ogni altra, come ogni altra necessaria e insostituibile. E la vuole comunicare, questa verità relativa. Ai lettori spetta poi d'esserne i critici.

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