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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2011 alle ore 20:21.

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Un fotogramma del film "Melancholia"Un fotogramma del film "Melancholia"

L'apocalisse secondo Lars von Trier e una drammatica separazione nell'Iran contemporaneo: questo weekend arrivano nelle nostre sale due pellicole particolarmente suggestive, pronte a far parlare a lungo di sé.
Tra queste la più attesa è «Melancholia», l'ultima fatica del danese Lars von Trier, presentata allo scorso Festival di Cannes, dove la protagonista Kirsten Dunst ha ottenuto il premio per la miglior attrice mentre il regista veniva bandito dalla kermesse per le sue dichiarazioni filonaziste.

«Melancholia» si riferisce sia al nome di un gigantesco pianeta, destinato a scontrarsi con la Terra arrivando a distruggerla, sia allo stato d'animo della giovane Justine, afflitta da una profonda depressione che nemmeno il matrimonio ha saputo guarire.

Dopo il discusso e ancor più discutibile, «Antichrist» del 2009, von Trier ritrova la verve di un tempo realizzando un'opera d'indubbio fascino, sempre coerente e perfino personale, partendo dalla rappresentazione della malattia di cui da anni è vittima anche lo stesso regista. Nonostante perda un po' di smalto col passare dei minuti, a causa di eccessive ridondanze narrative, «Melancholia» è uno dei ritratti più sinceri e angoscianti al tempo stesso dell'Apocalisse, che molto raramente è stata dipinta sul grande schermo con immagini tanto seducenti.

Oltre a Kirsten Dunst è d'obbligo segnalare l'ottima performance dell'intero cast, che conta tra gli interpreti di contorno anche Charlotte Rampling, John Hurt e Stellan Skarsgård.

Titolo altrettanto importante è «Una separazione», film diretto dall'iraniano Asghar Farhadi premiato con l'Orso d'oro all'ultimo Festival di Berlino.Al centro di una trama dalla complessa semplicità vi sono Nader e Simin, marito e moglie che, dopo aver ottenuto il visto per lasciare l'Iran, sembrano aver perso il desiderio di stare insieme: Nader si rifiuta di andarsene dal paese per non abbandonare il padre afflitto da Alzheimer e Simin intende chiedere divorzio per partire ugualmente insieme alla figlia Termeh.Da questa introduzione si apre un'inattesa spirale di eventi che fanno di questa pellicola, a metà tra il giallo alla Hitchcock e il cinema di denuncia sociale, una delle visioni cinematografiche più coinvolgenti degli ultimi tempi.

Infatti, fino e oltre uno struggente finale, gli spettatori si troveranno indecisi a giudicare e scegliere da che parte stare, sommersi dai diversi punti di vista dei personaggi che, nella loro conflittualità, hanno in comune una disperazione personale facilmente assimilabile alla condizione in cui verte oggi il popolo iraniano (e non solo).

Per chi invece cerca una visione più leggera, ecco «Un poliziotto da happy hour», diretto dall'esordiente John Michael McDonagh, con Brendan Gleeson. L'attore interpreta Jerry Boyle, sergente di provincia irlandese dai modi poco ortodossi, che si troverà fiancheggiato da un agente dell'FBI per debellare un traffico internazionale di droga.
A metà tra il thriller comico e il western contemporaneo, dove alla Monument Valley si sostituisce l'altrettanto selvaggio parco del Connemara, «Un poliziotto da happy hour» è un curioso viaggio nella cultura gaelica, seppur con diversi cliché e svolte narrative poco originali.

Se la regia è piuttosto monotona, a rendere il film divertente ci pensa Gleeson che, tratteggiando un personaggio spesso irresistibile, riesce a ottenere quello spazio che troppo raramente, in una carriera quasi unicamente segnata da ruoli secondari, gli era stato concesso in precedenza.

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