Il Sole 24 Ore
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23 ottobre 2011

Libertà è scrivere una regola

di Roberto Casati


Il fortunato e assai ben scritto libro di Maurizio Viroli (La libertà dei servi, Laterza 2010) propone un'analisi del l'Italia contemporanea, e in particolare della sua situazione politica, nei termini della distinzione concettuale tra libertà dei cittadini e libertà dei servi. I diritti conferiti dalla libertà dei cittadini nascono su un orizzonte di doveri che definiscono la vita di una comunità. La libertà dei servi o, meglio, dei cortigiani, dipende invece dal l'accondiscendenza del padrone. I cortigiani godono abusivamente di più diritti del resto della popolazione, ma solo perché il loro signore ha così deciso.

La loro libertà è figlia di un arbitrio e vive a spese della libertà altrui. In Italia un gruppo economico ha occupato le istituzioni utilizzando una strategia a tutto campo – potere mediatico, corruzione, pressione sul giudiziario, disprezzo per regolamenti e procedure, strategie dilatorie, sistematica disinformazione – che avrebbe creato, nei fatti, una corte intorno al Presidente del Consiglio, il cui ruolo viene svuotato e il cui potere finisce con il travalicare il perimetro assegnato dalla Costituzione. Questo margine abusivo di potere vive e prospera grazie allo zelo assiduo di una corte di facinorosi.
È un'analisi interessante che ha dei notevoli meriti; ma che al tempo stesso mi sembra carente nella parte propositiva.

Vediamo dapprima il merito. Il libro corregge due cattive rappresentazioni dello scenario politico italiano, rappresentazioni in cui spesso indulgono le opposte fazioni. In primo luogo, insiste correttamente sulla distinzione tra democrazia e repubblica democratica, una distinzione che inaugura la Costituzione. La destra al potere e i suoi intellettuali cercano in ogni modo di svuotare la nozione di repubblica democratica per sostituirla retoricamente con quella, assai più maneggevole perché del tutto sfumata, di democrazia. Una repubblica democratica è anzitutto una repubblica, ed è il suo assetto a permettere l'esercizio della democrazia. Per esempio garantendo la separazione dei poteri, che impedisce a un potere di imporsi agli altri, garantendo i cittadini contro il sopruso. Parlare di democrazia nuda e cruda – di solito, per suggerire un'investitura popolare del premier – significa invece distorcere a proprio tornaconto una nozione che di per sé non significa molto. Non c'è "governo del popolo" se non ci sono meccanismi per mediare tra una fantomatica "volontà popolare" e il potere esecutivo.

In secondo luogo, Viroli distingue chiaramente tra potere autoritario e potere della corte. L'Italia contemporanea non è governata in modo dittatoriale. Non è sotto il giogo di una pretesa dittatura mediatica, paventata da molti intellettuali di sinistra. Identificare correttamente il proprio obiettivo polemico permette di individuare le strategie migliori.
Che cosa allora non convince del libro? Viroli vede una via d'uscita "ardua" alla situazione che descrive. «Il rimedio dovrà essere di necessità coerente alla natura del male, vale a dire riscoprire, o imparare, il mestiere di cittadini. Per quanto sia ardua, è la sola via». Il percorso richiede una maggiore cultura: «l'emancipazione dalla libertà dei servi ha bisogno di un qualche testo che indichi la via da percorrere», si dovrà vincere la scarsa penetrazione del libro e in generale della parola scritta nella società.
«La Costituzione repubblicana, per quanto ricca di contenuti etici, non può da sola modellare il costume, mentre è proprio su quest'ultimo che bisogna intervenire. Sul costume si agisce con l'educazione, in particolare l'educazione civica». Oltre a questo si dovrà cercare un leader che sia un uomo «con un profondo senso del dovere», dato che «soltanto un leader politico che capisca in che cosa consiste la libertà dei cittadini e l'ami con tutto se stesso o se stessa potrà costruire in Italia le condizioni politiche e di costume che renderanno difficile la rinascita di un sistema di corte».

Si potrebbe osservare che più che soluzioni, queste proposte sono ridescrizioni del problema. (Certo, in linea di massima non sarebbe male se ci fosse un più diffuso senso civico o dei doveri, che per l'appunto secondo Viroli è quello che mancherebbe nella maggioranza degli italiani!) .Ma vorrei dire qualcosa di più.
I dati empirici a sostegno della tesi di una mentalità cortigiana diffusa non sono forniti nel libro e qualche dubbio è lecito. La fenomenologia della corte è interessante, i testi citati la corroborano, e non si fa fatica a vedere nel comportamento di molti parlamentari e accoliti del Presidente del Consiglio i tratti del cortigiano. Ma da qui a sostenere che la mentalità cortigiana è un tratto distintivo del carattere italiano ne corre. Esiste un "carattere italiano"? Tutti gli italiani sono veramente così? Una larga maggioranza? Un'influente minoranza? Quali sono i dati? Perché da essi dipende una formulazione della soluzione.

C'è una tensione irrisolta tra il desiderio di mettere le istituzioni davanti ai comportamenti e il tema opposto, per cui i comportamenti precedono le istituzioni. Voglio prendere decisamente partito per la prima, contrariamente a quanto fa Viroli. Egli scrive «ma non servirebbero piuttosto riforme istituzionali, nuove leggi elettorali? Rispondo che se c'è un uomo con poteri paragonabili al signore che oggi domina il centro, non ci sono istituzioni o leggi elettorali che possono frenarlo». Per questa ragione, si suppone, è necessario cambiare le mentalità e i comportamenti individuali piuttosto che riflettere sulle istituzioni. Ma la tesi per cui non ci sono istituzioni che possano frenare il signore è palesemente falsa, e il caso italiano è un'eloquente dimostrazione.

È proprio perché c'è una Costituzione come la nostra che l'occupazione delle istituzioni da parte del gruppo di potere berlusconiano, per quanto deleteria, è solo parziale ed effimera, e non si è trasformata in qualcosa di molto peggiore. (La controprova sono le ripetute invettive ad attacchi alla Costituzione vissuta come troppo "limitante" da Berlusconi e accoliti). Se per esempio avessimo un assetto diverso – e non bisogna andare tanto lontano, basta guardare alla Francia – in cui il giudiziario non è indipendente ma largamente controllato dall'esecutivo, pochi ostacoli si sarebbero potuti frapporre a una vera e propria deriva autoritaria. Non basta: se la Costituzione impedisce la concentrazione del potere esecutivo e giudiziario, non aveva previsto i rischi della concentrazione del potere economico ed esecutivo, obbligando l'Italia a un esperimento a grandezza naturale durato quasi vent'anni.

Sappiamo tutti qual è il vero rimedio istituzionale alla concentrazione del potere economico e mediatico, una legge durissima sul conflitto di interessi, idealmente iscritta nella Costituzione. Ma Viroli suggerisce addirittura che sia praticamente vano operare per una legge sul conflitto di interessi dato che «un potere enorme che sa conquistare il consenso popolare potrebbe o abrogarla o trovare le vie per impedirne l'applicazione».
L'etica individuale e pubblica costituisce un tema difficile. So di avere una posizione controversa, ma credo che sia uno sbaglio pensare che chi trae profitto dalla vita di corte – deputati, faccendieri, intellettuali, soubrette, eccetera – sia vittima di un deficit etico (cui si potrebbe eventualmente porre rimedio con letture edificanti). In soldoni: il ministro Calderoli non aveva esitato a definire la sua stessa legge elettorale «una porcata». La distinzione tra bene e male gli era presente, come è ben presente a chi tira i sassi dal cavalcavia o "distrae" denaro dai conti correnti o usa aerei di Stato per far viaggiare le puttane della Repubblica. Tutto quello che si può concludere è che evidentemente l'esistenza e la conoscenza della legge morale non sono sufficienti a motivare un comportamento retto. In assenza di incentivi o disincentivi adeguati, non c'è conoscenza del bene e del male che tenga. E questi incentivi e disincentivi sono fissati dalle leggi che si riesce a far approvare. Su questo obiettivo dobbiamo concentrare tutti i nostri sforzi.

Le alternative – una famiglia di cui fa parte la proposta di Viroli – che tendono a mettere la coscienza etica in primo piano hanno anche un effetto colpevolizzante. È come se si dicesse agli italiani, «siete dei servi, è colpa vostra se le cose vanno come vanno». Come ho detto, non abbiamo dati fattuali su un'ipotetica mentalità servile generalizzata degli italiani. Ma a quali italiani si rivolge Viroli? Ai cortigiani che dovrebbero recuperare integrità e dignità? O agli italiani con la schiena dritta? E certo, non è affatto chiaro come un potere che secondo Viroli sarebbe in grado di piegare ai propri fini addirittura una norma costituzionale sul conflitto di interessi lascerebbe mano libera a chi volesse pilotare il risveglio delle coscienze a partire dall'educazione civica (e qui i fatti indicano che il potere in questione si dà da fare per ritoccare i contenuti dei programmi scolastici).

Il tema della corte e dei cortigiani è affascinante e Viroli convince nella sua fenomenologia. La via per impedire un ulteriore degrado mi sembra presupporre un buon senso civico e morale, e probabilmente richiede soprattutto una maggiore "professionalità" della politica dal basso, dei movimenti, che devono imparare a misurarsi con la scrittura delle leggi. Come mostra molta ricerca storica ed empirica, l'emancipazione viene dalla legge. Ma mettere l'accento sulla legge, farne una cosa viva, alla cui redazione si può partecipare, non è altro che riconoscere il primato della legalità per evitare arbitrii e soprusi.


23 ottobre 2011