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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2011 alle ore 08:15.

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Sotto il profilo economico, l'euro vanta successi che conviene sempre rammentare: nei paesi che lo hanno adottato i commerci hanno perso l'impaccio della conversione da una valuta all'altra, che implicava costi di transazione, incertezze sui movimenti futuri dei cambi e connessi costi assicurativi, forti segmentazioni nazionali nella struttura finanziaria; la banca centrale europea ha guadagnato una reputazione di autorevolezza e rigore; l'inflazione, che tanti guasti economici e sociali aveva causato, specie nei paesi del sud dell'Europa, è stabilmente rientrata nei limiti fisiologici; i tassi d'interesse sono rimasti a lungo bassi, anche nelle fasi alte del ciclo economico, favorendo gli investimenti e la crescita; l'euro si è affermato come valuta forte e stabile, entrando da co-protagonista nelle riserve valutarie mondiali, stimolando le imprese europee a ricercare il vantaggio competitivo nei guadagni di produttività anziché in svalutazioni dai benefici effimeri e dai malefici duraturi.
Ma è stato, l'euro, anche un successo politico? Meno di quanto si potesse sperare, almeno finora.
Occasionali sondaggi sul sentimento popolare nei confronti dell'euro spesso rivelano umori negativi. La crisi causata oggi dalle difficoltà sui mercati del debito pubblico di alcuni paesi, pur non essendo affatto una "crisi dell'euro", rischia di instillare nelle opinioni pubbliche il veleno del risentimento verso la moneta comune, una specie di rigurgito qualunquistico della serie «si stava meglio quando si stava peggio».
È un riflesso irrazionale, ma non possiamo girarci dall'altra parte e ignorarlo. Una moneta si nutre della fiducia di chi la usa; rende servizi che hanno tanto più valore quanto maggiore e generalizzata è quella fiducia. Viene al pettine un nodo di fondo: si può dare una unione monetaria senza unione politica? Non vi sono risposte pronte, né nella teoria né nella storia. Unione politica vuol dire innanzitutto unione fiscale. In mancanza di questa, i progettisti dell'euro si sforzarono di creare un meccanismo di sorveglianza che vincolasse tutti a contenere disciplinatamente disavanzi e debiti pubblici, a pena di sanzioni. Quel meccanismo non è bastato a evitare il problema in cui oggi ci dibattiamo, forse per difetti di costruzione, certamente anche per essere stato delegittimato nel corso degli anni dagli stessi grandi paesi fondatori. Una soluzione va trovata in un assetto di governo della casa europea che combini politiche nazionali sane, ridistribuzione controllata di risorse, strumenti efficaci di prevenzione, contrasto e gestione delle crisi.
L'euro è troppo prezioso per non salvaguardarlo dalle conseguenze di problemi di governance lasciati irrisolti.
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Giorgio Ruffolo, Testa e croce. Una breve storia della moneta, Einaudi, Torino, pagg. XII - 178, € 17,00

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