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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2011 alle ore 08:14.

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Il secondo documento è il blog di un altro deputato austriaco, Hans Peter Martin, che ha messo in rete l'elenco dei tentativi di micro-corruzione a cui è soggetto un europarlamentare medio, con una stima approssimativa del loro valore: «Buoni per viaggi di lusso, per cene di gala, per autocollaudi; i lobbisti tentano quasi ogni giorno di sedurre l'europarlamentare indipendente H.P. Martin. Nel giro di una settimana gli inviti-omaggio hanno superato il valore di 10mila euro». Segue elenco, e sono per lo più inviti a pranzo, a un cocktail, al cinema; a scorrerlo tutto si ha l'impressione che la carica di europarlamentare voglia dire soprattutto mangiare gratis un po' a tutte le ore del giorno – questo sogno da parvenu – e si ha anche l'impressione che Martin esageri.
Il dibattito prosegue per un'oretta ma a un certo punto qualcuno pronuncia la frase «Bisogna creare strategie proattive a favore del lobbismo creativo», e da quel momento cesso di ascoltare.
Alla fine della presentazione investo dieci euro nel libro di Lazzarini e non me ne pento. S'impara che ci sono circa 2mila imprese che fanno lobbying a Bruxelles, e circa 5mila lobbisti, un piccolo esercito. Dentro c'è un po' di tutto: grandi banche e grandi aziende, sindacati, agricoltori, allevatori. Ma c'è anche il Sacro Sovrano Militare Ordine Monastico Dinastico Templare «Mater Nazarena Pietà del Pellicano»; c'è la House of Europe in Volgograd & Campi Flegrei (tre iscritti, 5mila euro di bilancio annuo); c'è il Consorzio Molluschicolo Polesano. Cosa ci faccia questa gente a Bruxelles non è chiaro: Lazzarini spiega che registrarsi come lobbisti significa accreditarsi «a livello internazionale. Un piccolo studio che si iscrive all'elenco dei lobbisti della Commissione compare anche da una ricerca su Google». Sarà, ma quale interesse abbia l'Ordine dei Templari a comparire tra i lobbisti della Commissione su Google resta misterioso.
Che cosa fa un lobbista? Cerca di influenzare le decisioni che vengono prese dal Parlamento, per fare in modo che queste decisioni non danneggino gli interessi del soggetto per il quale il lobbista lavora. Come lo fa? Marcando stretto i parlamentari, sfruttando il fatto che lui sa come funziona la macchina mentre loro, spesso, non sanno neanche perché sono lì: «L'europarlamentare quasi mai ha fatto campagna elettorale. Non serve. Una volta eletto entra in una dimensione singolare dove i meccanismi, il modo di far politica e le relazioni assumono contorni imprecisi per lui. I lobbisti invece vivono dentro il Parlamento europeo. Da anni. Hanno una perfetta conoscenza delle procedure, dei tempi amministrativi, di chi e di come andare a stuzzicare per raggiungere i loro obiettivi». Conseguenza, il lobbista diventa il migliore amico del parlamentare («Un buon lobbista si presenta a inizio della legislatura. Scrive a tutti i deputati: Dear Mep...»), lo vede dentro e fuori del Parlamento, non chiede favori ma dà consigli, scioglie dubbi, mette pressione. Conseguenza della conseguenza: «Sono talvolta i lobbisti che scrivono gli emendamenti. Li passano poi all'assistente parlamentare che può anche fare del "copia-incolla" sui formulari ufficiali. L'europarlamentare li firma e vengono presentati in aula. Senza fare fatica».
Una win-win situation, come si dice. Ma non è che la descrizione di Lazzarini lasci proprio tranquilli, ed è un po' difficile togliersi dalla testa questo dubbio qualunquista: ma se le cose stanno così perché io dovrei pagare lo stipendio dell'europarlamentare, del suo assistente, le trasferte, i francobolli sulle lettere...? Non bastano i lobbisti? Non s'è detto che non fa differenza?
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