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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2011 alle ore 15:32.

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È pure molto ridotta la presenza dei libri di lettura e fruizione colta: novelle, romanzi, teatro, libretti d'opera; certo alcuni di essi hanno dato fuori d'Italia l'immagine più alta d'Italia: dai libretti di Verdi al teatro di Pirandello; aprire a quegli ambiti avrebbe significato redigere una biblioteca. Si attesta, soprattutto, la lettura – di autori anche importanti per la storia delle patrie Lettere – che passa attraverso una comunicazione più ampia quale quella del «Corriere dei piccoli», la cui importanza è stata sottolineata, in pagine indimenticabili, da Italo Calvino.

Ma non è stato meno importante cogliere e rappresentare i punti salienti di opzioni che affioravano visibili e tuttavia furono rimosse: un'educazione fondata sulla scienza, la parabola Stoppani-Montessori, sulla quale prevalse il «patetico degli affetti»: da De Amicis a Pascoli. Ed egualmente, negli anni che antecedono la Prima guerra mondiale, lo svilupparsi di una cultura industriale che fece fiorire l'Italia: quella cultura dei chimici e dei fisici e degli ingegneri che ci ha dato la più alta dignità nella scienza internazionale, e che è attestata, ancora una volta nella "forma media", con il fortunato Ricettario industriale nella Hoepli di Italo Ghersi, caro a Primo Levi, al quale s'accosta l'altro prontuario, appunto tra «casa e bottega» ove, soddisfatta l'una, l'altra si raccoglie nel proprio ritmo di feste, ricorrenze, tradizioni regionali: la cucina, nel ricettario dell'Artusi.

Gli storici di molte nazioni europee convengono nell'affermare che la Prima guerra mondiale è stata il crogiolo di identità nazionali, appena fragilmente composte: e ciò è tanto più vero per la storia italiana, che finalmente sui fronti del Carso cementa le proprie parlate, regioni, ideali, uomini. E se più tardi la mirabile Storia di Tönle di Mario Rigoni Stern ci darà quanto si è perso di quell'Europa di imperi centrali senza frontiere, il Porto Sepolto di Giuseppe Ungaretti testimonia come nacque, allora, l'idea stessa, non di monarchi e generali, ma di popolo infine, della nostra Italia.

Provengo da una scuola, quella di Giovanni Getto e di Franco Venturi, e di Vittore Branca, che, avendo conosciuto e combattuto i disonori della viltà, aveva per motto «non si fa storia del negativo», nel senso, ovviamente, che nulla dalla storia si può trarre che perpetui solo la notte. Per questo il Ventennio fascista non è ignorato, ma attestato soltanto ove esso penetrò come vita quotidiana: ancora una volta sui banchi di scuola nelle varie "giunte" a Fior da fiore di Pascoli. Ugualmente arduo era attestare l'Italia che esce dalla Seconda guerra mondiale e la sua, ancora non delineata neanche oggi, identità. Si è limitata – severamente, ne convengo – la scelta a tre soli testi: la «Costituzione» della Repubblica, Se questo è un uomo di Primo Levi, Le città invisibili di Italo Calvino.

Le ragioni sono molteplici, e convergenti: sono testi, anche questi, che arrivano ai banchi di scuola media, o come parte integrante dell'Educazione civica (la Costituzione) o come libri di lettura. Sono memoriali che contribuiscono all'identità italiana, nel contesto che il XX secolo, e ancor più il XXI, delineano: una prospettiva universale dell'umanità, affinché non abbiano più a ripetersi i genocidi e le stragi della Seconda guerra mondiale e si sappiano prevedere gli scenari di un globo terrestre che tra pochi anni potrà disegnarsi come un'unica immensa megalopoli. Sono libri infine che perdurano nella loro essenzialità di scrittura: molta parte oggi della nostra identità collettiva è fatta da altre arti e strumenti che la scrittura: il cinema, la televisione, la comunicazione Internet, la videocomunicazione legata alla telefonia mobile. Ignorare questi processi è antistorico, accoglierli come uniche sorgenti di identità è passiva moda: la Costituzione, Se questo è un uomo, Le città invisibili non sono divenuti uno sceneggiato né un copione né un fumetto; la loro forte vitalità è nella scrittura, nell'imprimersi del sempre e dell'irrappresentabile, dell'intimo e dell'infinito, di ciò che è di ciascuno e di tutti: non scena ma coscienza. Semplicemente, con Luigi Pintor, per la storia e per l'avvenire: Servabo.

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