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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 18:52.

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Altrimenti sorge il sospetto che sarebbe stato meglio spenderla altrimenti. Chi passa la vita a produrre poesie, quadri o musiche senza infamia né lode potrà ricavarne qualche effimero piacere, ma non avrà arricchito l'umanità in maniera significativa.
Alle arti manca sia l'aspetto cumulativo che quello cooperativo. Per quanto possa essere influenzato da altri o influenzare altri, ogni artista agisce come individuo, e i suoi lavori sono individuali. Al contrario, le scienze, intese in senso lato come parti della ricerca della verità, sono sia cumulative sia cooperative. Esse progrediscono grazie agli sforzi congiunti di tutti coloro che le praticano. Per questo una vita dedicata a una scienza (qualunque essa sia) ha senso, qualunque sia il contributo al l'avanzamento della materia, che non necessariamente deve essere fondamentale. Lo stesso vale per una vita dedicata alla storia. E per una vita dedicata alla filosofia. La filosofia è, dunque, in senso lato, una scienza, e non un'arte. È una parte della ricerca della verità.

È facile prendersi gioco di questa affermazione. Quali sarebbero queste grandi verità scoperte dalla filosofia? Quali le scoperte che tutti i filosofi potrebbero condividere? Si può forse scrivere un testo elementare di filosofia composto solo di quelle proposizioni che tutti i filosofi potrebbero sottoscrivere?
Franca D'Agostini riprende da Kevin Mulligan un metodo sicuro per capire a quale dei due campi, analitico o continentale, appartiene un filosofo. Chiedetegli a che cosa sta lavorando: se risponde con un problema (il libero arbitrio, il concetto di verità, ecc.) è un filosofo analitico; se risponde con una persona (Hegel, Husserl, Marx, Freud, ecc.) è un filosofo continentale. Quest'ultima risposta fa somigliare la filosofia alla critica letteraria e confonde la distinzione tra filosofia e storia della filosofia.

Resta però il fatto che la filosofia è diversa dalle scienze naturali e dalla matematica proprio perché studiare i lavori del passato è essenziale. Si può innovare la filosofia studiando Aristotele o Kant; difficilmente si avranno nuove idee in fisica studiando Galileo. Questo perché il lavoro del filosofo, diversamente da quello del fisico e del matematico, da un lato non è mai definitivo, né può sottrarsi a nuove critiche che l'autore non aveva immaginato, e dall'altro non può neppure essere assimilato completamente da coloro che lo studieranno. Nuove interpretazioni riveleranno sempre nuove penetranti intuizioni che prima non erano state pensate. Questa è la natura dell'argomento: per quanto un filosofo si sforzi di esprimersi in modo preciso, in maniera da permettere di estrapolare dai suoi testi solo proposizioni specifiche e circoscritte, non riuscirà mai a raggiungere questo obiettivo. Ma concludere che l'unico compito del filosofo è studiare i testi del passato significa decidere che la filosofia è morta. Studiare i testi degli alchimisti da un punto di vista storico è l'unica cosa che si può fare perché l'alchimia è morta.

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