Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 18:52.

My24

L'immagine della filosofia presentata qui non è, di per sé, peculiare della tradizione analitica piuttosto che di altre scuole. Di fatto si oppone a due moderne - o post-moderne - linee di pensiero: il relativismo e il decostruzionismo. Il relativista nega che ci sia una cosa come la verità, nel senso di una verità incondizionata. Non esiste qualcosa di vero incondizionatamente, ma solo in relazione a specifici gruppi di persone in particolari periodi di tempo. Se non c'è la verità, allora non c'è neppure la ricerca della verità: ci sarà solo una ricerca su ciò che passa per vero nelle menti di gruppi omogenei di individui. Ma chiunque creda sinceramente che le cose stiano così impedisce a se stesso di avere qualunque convinzione o credenza, compresa la credenza secondo cui non ci sono verità assolute. Credere in qualcosa, infatti, significa credere che quella cosa sia vera.

Un decostruzionista può schivare la questione dell'esistenza della verità assoluta sostenendo che l'oggettività è un ideale irrealizzabile. Anche se esistesse una verità incondizionata sarebbe inutile aspirare a raggiungerla, perché nessuno può liberarsi del tutto dai propri condizionamenti culturali e sociali. Questo è vero. Non ne segue però che, quando ci accingiamo ad affrontare un problema specifico, non possiamo darne una soluzione indipendente dalla prospettiva particolare da cui partiamo. La stessa natura pubblica della ricerca dovrebbe compensare gli effetti di quei condizionamenti. Noi non siamo condannati a comunicare solo con chi appartiene al nostro circolo culturale. Tutti gli esseri umani possono comunicare gli uni con gli altri, ed è per questo che la traduzione tra le diverse lingue è possibile.
Tra i filosofi post-moderni di questi due tipi e coloro che invece credono che la filosofia sia ancora un campo vitale per la ricerca della verità, e che questa ricerca non sia vana, non ci può essere uno scambio molto fruttuoso, e tantomeno cooperazione. Ma tra coloro che si sono formati nella tradizione analitica e coloro che si sono formati nelle diverse tradizioni che formano il vasto conglomerato della filosofia "continentale" non dovrebbe sussistere questa barriera di incomprensione. In passato, questa barriera c'è stata.

Ciò che storicamente distingueva la filosofia analitica da altre scuole era la convinzione che lo studio filosofico del linguaggio fosse l'unica via per la chiarificazione del pensiero. Franca D'Agostini osserva che c'è stata una "svolta linguistica" anche nella filosofia continentale, soprattutto con Heidegger: ma è stata di un genere ben diverso. ciò che soprattutto distingueva l'approccio analitico al linguaggio era il fatto di disporre di una sistematica (anche se embrionale) teoria semantica, l'eredità di Frege. Oggi questa barriera è caduta. Un gruppo influente di filosofi cresciuti alla scuola analitica, come Gareth Evans e Christopher Peacocke, ha abbandonato la filosofia del linguaggio, considerata la base dell'intera filosofia, per una filosofia del pensiero: un'analisi sistematica del pensiero umano trattata indipendentemente dalla sua espressione linguistica, una teoria del contenuto che rimpiazza la teoria semantica del linguaggio. Ma l'eredità di Frege non può essere messa da parte, perché le due teorie possono essere quasi isomorfe. Personalmente non condivido le idee di questo gruppo, e resto fedele al principio originario della filosofia analitica, ma la loro esistenza rimuove ciò che ancora restava della barriera intellettuale tra analitici e continentali. La barriera che sopravvive è invece quella dell'ignoranza dei lavori degli uni rispetto a quelli degli altri. Il libro di Franca D'Agostini è benvenuto per il suo contributo a superare questa ignoranza.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi