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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 19:04.

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In questi due casi non si tratta di fede religiosa, eppure possiamo usare la parola fede perché sono credenze infondate. Ma la fede religiosa è fondata: viene contrapposta alla ragione per via del suo contenuto e della forza dell'adesione che suscita. Si fonda sulla trasmissione di una forma di certezza distinta dalle normali operazioni dell'intelletto. Nella tradizione del giudaismo, della cristianità e dell'Islam ciò che è oggetto di fede è giunto come una rivelazione di Dio. In altre religioni potrebbe essere il frutto di un'illuminazione proveniente da una fonte non divina. Comunque sia, a tale contenuto non è possibile pervenire con il ragionamento: ne è un esempio ovvio la resurrezione dei corpi.

Come nel caso degli americani che si oppongono all'evoluzione darwiniana, accettare una rivelazione divina non è irrazionale: una rivelazione divina non può che essere vera. Non sempre l'oggetto della fede deve essere inaccessibile attraverso normali processi intellettuali, ma si tratta di qualcosa che non è possibile conoscere attraverso tali processi. Si può benissimo immaginare che, dopo aver studiato i Vangeli, un non cristiano ne concluda che Gesù Cristo sia risorto, non avendo altra ipotesi per spiegare i fatti. Ma la spiegazione è di per sé talmente improbabile e contraria al corso normale della natura che per lo studioso sarebbe irrazionale attribuirle uno statuto superiore a quello di ipotesi. Per il credente invece, è una verità rivelata alla quale aderisce altrettanto fermamente che alle cose conosciute.

Dio deve esistere perché esistano sue rivelazioni, ma perché queste siano credute con la fede così come l'abbiamo definita, l'esistenza di Dio deve essere accessibile con la pura riflessione razionale e non essere in sé il contenuto della fede. Lo stesso vale per il processo di illuminazione in un sistema religioso in cui esso sostituisce la rivelazione. Ciò nonostante, siccome ogni cosa creduta per fede dipende dall'esistenza di Dio o della possibilità di un'illuminazione, anche queste vanno ritenute elementi di fede.

Per quanto riguarda la fede quindi, la razionalità della credenza religiosa dipende da due fattori: se è ragionevole supporre che Dio riveli certe verità agli esseri umani e, in questo caso, se tale rivelazione è stata correttamente identificata; e se è ragionevole dare a ciò che non si conosce lo stesso grado di adesione appropriato per ciò che si conosce. Su questo secondo punto, si può sostenere che nulla è più certo di quanto rivelato da Dio. Ma così si eliminano soltanto particolari occasioni di errore. Ciò che è matematicamente dimostrato è certo in quanto consegue ineluttabilmente dagli assiomi, il che non basta però a rendere certo qualunque teorema la cui dimostrazione è sempre alla mercé di un errore. Analogamente, c'è un ampio margine d'errore nell'identificare una dottrina come divinamente rivelata e più che mai nell'interpretarla.

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