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Questo articolo è stato pubblicato il 07 gennaio 2012 alle ore 19:23.

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Da Barcellona, abbiamo proseguito per Tortorici, in collina come Mineo ma costruita proprio sulla cima. La strada serpeggiava fra stretti canyon e si arrampicava per una campagna selvaggia. Era ancora giorno, però, e c'era il sole mentre la prima volta ero venuto qui con Marcello, molti anni prima, nel buio e in mezzo ai temporali. Nel punto più alto della città siamo sbucati su una gradevole piazza affacciata sul paesaggio sottostante. Ho conosciuto i membri di un circolo che Gianluigi aveva contattato, calorosi e amichevoli come tutta la gente incontrata in Sicilia, e mi hanno invitato a giocare. Come prima, ho mostrato il libro, promesso una copia e siamo tornati a Palermo a notte fonda, esausti.

Abbiamo passato due giorni a Palermo e domenica, dopo la messa, due studenti di filosofia ci hanno portato in macchina a Calatafimi, in provincia di Trapani. É qui vicino che il 15 maggio 1860 i mille di Garibaldi sconfissero tremila soldati borbonici. Ed era qui che molti anni addietro avevo incontrato per la prima volta giocatori siciliani di tarocchi. Durante quella prima spedizione, con Marcello ci eravamo fermati nelle belle rovine deserte di Segesta, una città degli elimi in stile greco con a un'estremità un tempio dorico, ben conservato, del V secolo a.C. e all'altra, altrettanto ben conservato, un teatro ellenistico che sovrasta un panorama spettacolare.

Non ci siamo potuti fermare perché eravamo un po' in ritardo per l'appuntamento con un gentiluomo che avevo conosciuto in precedenza e che Gianluigi aveva contattato. Dopo aver parlato con lui, siamo andati al Circolo 15 maggio dove avevo visto giocare ai tarocchi in Sicilia per la prima volta e dove sono stato invitato al tavolo. La forma giocata qui, con una bravura stupefacente, deve più alle innovazioni introdotte da generazioni di entusiasti che a quelle in uso nelle tre altre città appena visitate. Ha una peculiarità che trent'anni fa mi aveva lasciato stupito: i tarocchi del mazzo non sono siciliani bensì piemontesi. Tuttavia i giocatori chiamano le carte forestiere con il nome che le carte di uguale valore hanno nel tarocco siciliano, un nome senza alcun rapporto con la figura della carta piemontese. Perciò qui «il Mondo» piemontese, il numero 21, viene chiamato «Giove», mentre «la Papessa» piemontese, il numero 2, è detta «i Picciotti». Si gioca spiritualmente con un mazzo e fisicamente con un altro.

Ho lasciato in regalo al Circolo 15 maggio il libro che avevo mostrato a tutti i giocatori incontrati durante il viaggio, con la solita richiesta di scrivermi per indicarmi eventuali errori. Avevamo deciso di fermarci a Segesta sulla via del ritorno ma siamo rimasti delusi. L'antica città un tempo aperta a tutti è ora circondata da un alto recinto. C'è un unico ingresso e bisogna pagare per visitare le rovine. Immagino che la vista spettacolare dall'alto del teatro sia impedita dalla recinzione, ma non lo so per certo: era tardi ormai e Segesta aveva chiuso i battenti.
Dopo una sosta a Padova per partecipare a una conferenza, siamo tornati in Inghilterra. Da allora ho avuto notizie dai presidenti dei circoli che ci avevano accolti a Tortorici e a Mineo. Il primo ha corretto un mio piccolo errore (o forse riferivo di una regola osservata in un altro circolo), il secondo mi ha assicurato che la mia descrizione era perfettamente fedele. Aspetto lettere da Barcellona e da Calatafimi che senza dubbio arriveranno. Sono immensamente felice di avere avuto l'occasione di fare il viaggio che da tempo desideravo, sono grato alle persone che mi hanno aiutato a compierlo e ai molti giocatori che mi hanno accolto con tanto calore. Spero che il gioco dei tarocchi non muoia. Anche se dimenticato in quasi tutta la Sicilia non è soltanto un gioco magnifico, ma una manifestazione della creatività e dell'originalità siciliana.

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