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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2012 alle ore 08:13.

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A lungo i detrattori di Lampedusa hanno cercato di relegare Il Gattopardo tra le opere di intrattenimento (era anche il parere di Gianfranco Contini). Leggendo Il principe fulvo ci accorgiamo invece a quale punto questo romanzo così apparentemente trasparente e senza misteri sia scritto in un codice cifrato, e quanto fitta sia la tramatura dei riferimenti e dei sottintesi che lo sorregge – secondo una tecnica allusiva peraltro sperimentata con successo da Lampedusa già nelle lettere giovanili da Londra al cugino Lucio Piccolo (curate dallo stesso Nigro nel 2006).
Specialista di favole barocche e di macchine metaletterarie, Nigro ha intuito come la pienezza delle descrizioni de Il Gattopardo non abbia nulla del gusto per la visività sfarzosa dei cultori del romanzo storico preoccupati soltanto di calare i lettori nell'ambiente. Niente di più lontano dal gusto e dall'indole di Lampedusa. Gli oggetti più comuni, in mano a lui, hanno piuttosto la tendenza a caricarsi di colpo di una speciale forza allegorica, che li trasforma in enigmi e in figure dell'intera condizione umana. Ma come spesso nel Novecento (Benjamin docet), anche le allegorie del Gattopardo hanno ormai smarrito qualsiasi univocità rassicurante. Non c'è più un codice certo, capace di risolvere ogni immagine in concetto e di garantire il senso complessivo del disegno. Il principe fulvo ha dunque il duplice merito di mostrarci quanto sia intricato il labirinto e di fornirci un primo filo di Arianna per orientarci al suo interno.
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Salvatore Silvano Nigro, Il principe fulvo, Sellerio, Palermo, con otto illustrazioni, pagg. 180, € 12,00.
Il libro uscirà questa settimana

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