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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2012 alle ore 19:41.

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Tonino Guerra (LaPresse)Tonino Guerra (LaPresse)

Non ho titolo per azzardare proposte, ma riunire in una piazza quell'immaginazione per festeggiare un fenomeno che ha qualche tratto di straordinarietà mi parrebbe un modo di ricordare l'arcana, ma tangibile ubiquità che ha unito i due protagonisti di una leggenda pressoché universale.

Poi era salito a Pennabilli, una sorta di eremo civile, una dimensione fantastica da aggiungere a Santarcangelo, la patria mai rinnegata; mentre Andrea, il figlio musicista, ricreava a Roma il grande talento paterno, Tonino non aveva trovato a Cinecittà il suo humus più naturale. Ma sarebbe impossibile non ricordare la strabica amicizia di Tonino per la Romagna e la Russia, amate alla pari, così simili da richiamarsi, l'un l'altra, attraverso i lasciti poetici della civiltà contadina. Ai russi era presto piaciuta la poesia sottesa nella vita di Tonino, che resterà alla base del suo Dizionario fantastico. Il giorno in cui, nel 1945, gli Alleati irruppero nel campo nazista dov'era rinchiuso, fu come se un colpo di vento fosse venuto a risvegliare un infrenabile bisogno di fuga, di novità; e Guerra, affamato, confidò: "Per la prima volta, vedendo una farfalla, non ho pensato di mangiarmela". Con I bu, nacque l'opera da cui cominciò la rigogliosa rinomanza di Tonino. Gianfranco Contini, tra i più autorevoli critici letterari del ‘900, lo collocò tra i poeti nei quali il dialetto è lo strumento linguistico votato a una qualità espressiva pari a quella di un'opera in lingua.

Vorrei dare l'idea del viaggio compiuto nel mondo dai versi di Tonino Guerra limitandomi a ricordare che tra le decine delle grandi personalità salite a Pennabilli, un giorno è spuntato, per dir così, anche il Dalai Lama. Che in una piazzetta di paese si tenessero sottobraccio, e nessuno se ne stupisse, un eroe mondiale dei diritti umani e un poeta che racconta la vita annidata nella poesia del mondo, era la sorprendente e reale favola civile vissuta sotto un cielo che stava, alla pari, sulle alte balze del Tibet fino ai riposanti, familiari declivi dell'Alpe romagnola. "Il cielo, diceva Tonino, ha lo stesso colore in tutto il mondo, in pace e in guerra".
"Più poeta di tutti i poeti della terra – ha scritto Garcia Marquez - è quello che parte dalla lingua del suo paese, la più arcaica e primigenia, quella non delle origini, ma delle scaturigini". Come dire che attinge all'energia dei vulcani, nel cui grembo si è forgiata la possibilità più alta del pensare e del dire: cioè la poesia, il testo estremo.

Fu dunque l'uscita de I bu a dirci di un poeta che per novità di stile, allegrezza e pensosità ricordava Ungaretti; il quale era certamente lontano da quella obiettivazione che in Tonino è il bisogno di una realtà presa da qualche lucida falda della coscienza, dove lo stesso Contini (si possa o no parlare di destra e di sinistra anche a proposito di una sorta di hegelismo poetico) scova in Guerra la parvenza di un "ungarettismo di sinistra". Al ritorno a Santarcangelo si era dato a un lavoro culturale e sociale, alla solidarietà con la parte più debole del paese, cioè alla scelta degli attardati, per la difesa di una condizione violata non solo nei diritti, ma anche nelle ricchezze povere, gelose e nascoste, come la memoria, l'amore dei vecchi, la terra con la sua durezza e la sua innocenza; e poi, l'odore della vita e della pioggia, del padre e del vento, dell'alba e della madre.

Mentre le ideologie si contendevano appartenenze e militanze, egli lasciava che ben prima dei "muri" cadessero - e se ne compiaceva - lontananze cupe e fittizie, avendo capito, per dirla con Rainer Maria Rilke, che "la comunione tra le cose e gli uomini è recessa in una comune profondità, alla quale si abbeverano le radici di tutto ciò che è e cresce insieme". Di qui la scoperta, nel nostro amico e poeta, di un sentimento che per il Vangelo è addirittura una virtù: lo stupore. Esso appare come la matrice di tutta l'evoluzione poetica di Guerra, una sorta di continua seminagione in ogni luogo dove si abbeverano le radici rilkiane dell'esistenza. Una sorta di realismo esistenziale farà da scenario - in chiave metaforica, lirica, favolistica - a un interminabile viaggio compiuto in una Romagna che si prolunga nella Georgia, dove potrebbe essere nato, o nei luoghi di Faulkner e Dos Passos, che Guerra non ha mai visto, eppure con i medesimi cimiteri di ferro battuto, i cancelli cadenti, i vialetti nudi, che stanno su qualche gobba del Montefeltro, con le betulle chiare come i platani di Santarcangelo.

Belle, fra molte altre, le immagini di una campagna romagnola scelte da Nevio Casadio per l'ultima, straordinaria testimonianza su Tonino, su cui sembra essere appena passato lo stesso trattore che solca un pezzo di Russia, o viceversa; e dei girasoli, al declino del giorno, che chinano le loro cantaglorie dorate, dove si riconvoca la visionaria realtà del Dizionario fantastico edito da Capitani - un accurato, fedele stampatore di Rimini - che dà forma di favola reale a un mondo altrimenti dimenticabile; con una naturale dolcezza che si allunga nei vicoli, nelle botteghe, nelle case, non per vivere con l'animo voltato indietro, ma perché non si perda la superstite forza di cui siamo capaci, a cui oggi ci richiamano le parole di Tolstoi: "Non fate niente che sia contrario all'amore". Tonino, ripetendo Mallarmé, ci ricordava che "l'incredulità non ha genio", che bisogna far posto anche a qualcosa destinato a durare, seppure intimidito e umiliato dalle nostre insicurezze per le cose difficili, o lievi e propizie, in cui puoi subito credere, insieme con quelle che il dubbio ha diritto di lasciar vivere.

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