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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2012 alle ore 08:19.

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Ha un nuovo direttore musicale, il rinnovato fulgido e splendente San Carlo: e questa è già di per sé una positiva notizia. Propositiva anche, perché Nicola Luisotti, toscano, brizzolato, è finalmente una figura di musicista che entra stabile nell'organico del Teatro. Gesto robusto, mestiere sicuro (alle spalle anni in America), nei "Masnadieri" di Verdi ha offerto un'orchestra più precisa, coro in appiombo. La passionale Sinfonia coi tempi giusti, naturali, cantanti e col gran "solo" del violoncello ben detto, con parole anziché note e un soffio da "Ballo in maschera", da far venire subito l'acquolina in bocca. L'opera è magnifica, ribelle, col passo scalpitante del primo Verdi. Ed è rarissima. A Napoli si dava per la seconda volta, dopo la prima del 1849 (a due anni dal debutto, a Londra). Allora il critico la bollò come "aborrente e schifosa mostruosità", niente peli sulla lingua. Nel libretto di Maffei, dal dramma di esordio di Schiller, si estremizza una gioventù che dire ribelle è un eufemismo: un padre ha due figli, che pur di avere il potere, cioè il suo denaro, e la donna, cioè la ragazza che vive in casa, come figlia, dunque sorella, osano tutto, dallo stupro all'assassinio. Quello dei due che sembra il meno peggio, l'idealista, chiuderà nel nero. La violenza nella famiglia borghese è pedale continuo nel teatro di Verdi, ben in anticipo sulle tematiche del Novecento.
Ma è difficile essere violenti all'opera: non bastano i cappottoni di pelle e il graffito onnipresente col teschio e un coltello infilato nel naso, come nella scena di Alessandro Camera. La regia di Gabriele Lavia, che nelle intenzioni si dichiarava simili a un'"Arancia meccanica" rivisitata, qui finiva per risultare la solita parata da melodramma: braccia aperte, mani al cuore, fermi immobili e faccia al direttore. Il tutto reso incespicante da una selva di pali da luce, per un apparato di illuminazione non si capiva funzionale a che: metateatro? "I masnadieri" ambientati sul set di un film abbandonato? Di fatto i due fratelli mascalzoni, la sorella santa e il padre affranto restituivano il tradizionale presepe, che infatti non turbava affatto il pubblico, col San Carlo ben affollato, che applaudiva soddisfatto ad ogni numero, e puntualmente tra cavatina e cabaletta.
Qui però un po' di responsabilità andava al manico, cioè a Luisotti, che potrà osare - con maggiore familiarità con la buca - tempi più scattanti per le cabalette, colori, accensioni, e respiri ad arcata. Al Verdi masnadiero restituiva buona voce tutta la compagnia: ha stupenda pasta Lucrecia Garcia, giusto da affinare nei dettagli, Aquiles Machado sfoggia potenza tenorile brunita, Artur Rucinski rende benissimo la follia del cattivo, baritonale, in anticipo su Jago, e il basso Giacomo Prestia incarna al meglio l'affranto padre, che si è cresciuto le classiche e sempre attuali serpi in seno. Ultimo: Abbado ha cancellato le due prossime date di fine mese a Napoli, causa legge Nastasi. La notizia è grossa. Potrebbe a ruota far cadere anche il concerto alla Scala.
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I masnadieri di Verdi; direttore Nicola Luisotti, regia di Gabriele Lavia; Napoli, fino al 31 marzo

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