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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2012 alle ore 11:33.

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Bruce Bawer, scrittore americano in trasferta in Norvegia, definisce «nuovi Quisling» quegli intellettuali occidentali che si oppongono al dibattito sul totalitarismo musulmano e cercano di controllare la conversazione sull'Islam in modo che non offenda i suoi principi ideologici. "Nuovi Quisling" è un insulto feroce.
Vidkun Quisling è stato il gerarca fascista norvegese che ha governato il suo Paese con il pugno di ferro per conto dei nazisti. Quisling, insomma, è il simbolo del collaborazionismo con il male assoluto. In The New Quislings: How the International Left Used the Oslo Massacre to Silence Debate About Islam, appena pubblicato da Harper Collins ed edito da Adam Bellow, il figlio di Saul, Bawer ha replicato con veemenza a chi ha strumentalizzato la lucida follia assassina di Anders Breivik, il massacratore locale dei ragazzi di Oslo, per delegittimare i pochi critici dell'ideologia islamista.

Gli articoli di Bawer sono stati citati nel lungo e delirante manifesto lasciato da Breivik e, per questo, con una dose eccessiva di cinismo sono stati successivamente collegati all'azione omicida del solitario assassino norvegese. Da qui la passione personale, talvolta scomposta, di Bawer nel rilanciare attaccando chi ha approfittato di una strage di adolescenti per silenziare il dibattito sull'Islam.
Il saggio di Paul Berman è più sereno, sine ira ac studio, senza ira né pregiudizi, ma il punto di arrivo è lo stesso: la società aperta non si può permettere di ignorare la campagna globale islamista per la limitazione della libertà di pensiero attraverso l'intimidazione.

Testo di Paul Berman
Come si spiega il successo continuo e spettacolare in tutto il mondo dei movimenti politici che si richiamano apertamente a dottrine islamiche e a programmi radicali? Qualcuno pensa che sia l'Islam stesso, l'antica religione, a prescrivere i principi della teocrazia e della conquista globale, e che l'affermazione, oggi, dei movimenti radicali che si fanno portatori di queste idee non abbia bisogno di alcuna spiegazione. È una mera conseguenza logica della decolonizzazione che ha consentito al mondo islamico di recuperare gradualmente la sua natura profonda e autentica: uno sviluppo che si potrebbe perfino vedere come un ritorno – in qualche modo ammirevole – alla propria essenza.

Ma è soltanto un'opinione, mentre è un dato di fatto che in tutto il mondo si possono trovare studiosi islamici raffinati che sostengono che è vero il contrario, e cioè che l'Islam tradizionale contiene una varietà di correnti perfettamente compatibile con le moderne idee liberali: le tradizioni pacifiche del sufismo, ad esempio, e il lascito umanista dell'età dell'oro dell'Islam medievale. Alcuni di questi raffinati studiosi sono personalità di grandissimo rilievo, che occupano posizioni istituzionali di primo piano: per esempio l'ex presidente indonesiano Abdurrahman Wahid, oggi scomparso. Il presidente Wahid condannò aspramente i movimenti radicali, accusandoli di essere portatori di «un'ideologia estrema e perversa». Ma l'esempio del presidente Wahid e di quelli che la pensano come lui in tutto il mondo islamico non fa altro che sollevare un'ulteriore questione: perché i tanti pensatori islamici liberali, profondi conoscitori dei testi sacri, in molti Paesi non sono riusciti a sconfiggere, con la forza delle loro argomentazioni, i fautori di quell'ideologia estrema e perversa? Perché i progressisti e i moderati non sono riusciti a schiacciare i radicali?

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