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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2012 alle ore 08:19.

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Riuscire a riunire questi dipinti e questi disegni è stato – chi l'avrebbe immaginato in partenza – notevolmente complicato. Per fortuna è prevalso, nonostante i tempi e le cattive abitudini, un senso di solidarietà civica, per cui le istituzioni hanno alla fine compreso le intenzioni del progetto, morali prima ancora che scientifiche. Speriamo tutto questo suoni come test, come prova generale per imprese più vaste e complesse, all'altezza di quello che è stato il paesaggio culturale della città, delle sue remote tradizioni espositive che l'hanno vista – in anni neanche troppo lontani – all'avanguardia critica per rigore di analisi, varietà di riscoperte, rigore di sintesi. La strada che si era avviata con il miracolo del Caravaggio nel 1951 ed era arrivata, per tappe memorabili, fino al Seicento Lombardo nel 1973; ma della partita faranno ancora parte – era il 1982 – lo Zenale (al Poldi Pezzoli) e l'Hayez (felicemente diffuso per la città).
Il Bramantino del 2012 è stato costruito, in fretta e furia, in un paesaggio dominato dalle rovine come un segno di riscatto: la disponibilità dimostrata dai funzionari del Comune è stata tangibile, un moto d'orgoglio di cui speriamo il pubblico si avveda. In un momento difficile, senza soldi, si sono viste maniche rimboccate e il piacere, perfino il divertimento (nei più giovani), di sperimentare forme differenti di lavoro, di riprendere il filo di consuetudini dismesse, aggiornandole con strumentazioni prima neanche immaginabili.
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spunta il rospo
Il manifesto della mostra «Bramantino a Milano» realizzato dal designer Francesco Dondina, ha evidenziato il rospo rovesciato, simbolo dell'eresia debellata da S. Ambrogio

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