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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2012 alle ore 08:00.

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Foto di Piero MartinelloFoto di Piero Martinello

È una tassa contestata da molti professionisti, che alcuni si sono visti annullare dopo aver fatto ricorso, che l'Europa ha definito una volta illegittima, che il Luca Laurenti che fa da "spalla" televisiva a Paolo Bonolis si sta battendo come un leone per non pagare e qualche volta il tribunale gli dà ragione e qualche volta no. E così siamo già arrivati al 48 per cento di prelievo fiscale. In più ci sono le addizionali comunali e regionali che variano da regione a regione, e che nel Lazio (dove abito) sono micidiali: tra tutt'e due qualcosa di vicino al 4 per cento. Poi c'è l'Ici (che sta per diventare salata), la tassa sulla monnezza, la tassa sul cellulare, la tassa che paghi quando sali su un aereo, gli acconti fiscali da pagare a fine anno e prima che tu abbia incassato un solo euro, l'Iva da pagare alle scadenze e anche se l'importo delle relative fatture non lo hai visto nemmeno da lontano.

Già così fa un prelievo su ogni porzione che aggiungi al tuo reddito, ad esempio l'articolo che sto scrivendo, attorno al 52 per cento. E senza contare che questa pressione fiscale batte sui tre quarti del reddito prodotto in Italia, perché un quarto è in nero. E senza contare i 100 miliardi di euro che la pubblica amministrazione deve a gente che ha lavorato e prodotto per lei. La nostra costituzione è fondata sul lavoro? Ma non diciamo sciocchezze. È una carta costituzionale fondata su un prelievo fiscale degno del comunismo di guerra e sul debito della pubblica amministrazione, l'unico debito su cui Equitalia non intervenga severa a furia di sanzioni e di interessi.

Soldi, quante stupidaggini si scrivono in nome vostro. Ve lo ricordate il gran titolo dei giornali che amplificava il reddito dichiarato dal ministro Guardasigilli Paola Severino, e premesso che quella faccenda di mettere in mostra i propri redditi, per come era stato chiesto ai "tecnici" del Governo presieduto da Mario Monti, era una stronzata eccezionale? E comunque i giornali titolarono stupefatti che la ministra avesse dichiarato un reddito professionale annuo (nella vita civile è un grande avvocato) da sette milioni lordi di euro. E invece la vera notizia e il vero stemma del ministro era la cifra versata al fisco, quattro milioni di euro o poco meno. Da farle un monumento, da farglielo fare a Damien Hirst, uno che di "soldi" se ne intende, eccome, un capo azienda che ai suoi ordini ha un paio di centinaia di dipendenti.

Se non fai un monumento a lei, a chi lo fai? A una che per meriti professionali, con il suo lavoro e la sua organizzazione e malgrado un handicap fisico produce una ricchezza che a tal punto si riverbera sulla comunità a pagare pensioni sociali, pensioni di invalidità (magari a ciechi che ci vedono benissimo), stipendi all'Assemblea regionale siciliana, stipendi a tutti i deputati Pdl che a Montecitorio hanno alzato il braccetto a dire che quella ragazzona che frequentava Silvio Berlusconi era la nipote di Mubarak, stipendi alla Rai (il cui personale amministrativo è due volte quello di Mediaset), uffici di segreteria a ex presidenti di Camera e Senato che ora magari fanno tutt'altro, tipo ballare "sotto le stelle". Soldi, perdonateli, perché accecati dall'invidia sociale non sanno quel che fanno quando parlano di voi.

Come nell'occasione di un'altra notizia che di recente ha avuto rilievo sui telegiornali. Che i dieci italiani più ricchi hanno un patrimonio superiore a quello dei tre milioni di italiani più poveri. Ma che stronzata è questa? E vorrei ben vedere se non fosse così, e a meno che per legge non aboliate il diritto all'eredità. Ovvio che ci sono famiglie-aziende, beninteso famiglie-aziende condotte con pugno di ferro, che nei decenni hanno continuato ad accumulare a ritmi esponenziali, e dunque a creare posti di lavoro, offrire una merce apprezzata dai consumatori, pagare caterve di tasse eccetera. Non è poi così facile restare "ricchi", se è vero che gente come Calisto Tanzi o Vittorio Cecchi Gori è ruzzolata al modo che sappiamo. Ma, ripeto, che significa raffrontare questi patrimoni accumulati nei decenni con la situazione all'osso di chi non ha niente o non ha conservato niente? Ci dice qualcosa questo raffronto, ci fa capire quali sono i problemi del Paese?

È un invito ad accentuare la pressione fiscale sui grandi patrimoni, un invito a "far piangere" i ricchi, o un invito ad accentuare la "benevolenza" verso chi si trova in coda alla graduatoria sociale? Basterebbe dirlo. Poi ne discutiamo.
Quando sono veri, quando arrivano o non arrivano per tempo, i soldi sono belli e drammatici. Quando ci fai sopra della retorica o del falso moralismo, è roba stucchevole. Parlo di un romanzo che ho appena finito di leggere, un'idea e uno spunto fantastici. Dentro il labirinto di Andrea Camilleri è un libro pubblicato da Skira in una intelligente collana diretta da Eileen Romano, buon cognome non mente.

A far da punto di partenza è la vicenda assieme drammatica, misteriosa e ambigua di Edoardo Persico, tra anni 20 e 30 figura centrale nella storia della nostra architettura e della sua cultura. Nato a Napoli nel 1900, ammiratore e collaboratore di Piero Gobetti, organizzatore culturale a Torino e a Milano, Persico era nel 1936 una sorta di condirettore di La casa bella, la famosa rivista di architettura diretta da Giuseppe Pagano che fa da baricentro della nostra architettura più moderna. La sera del 10 giugno 1936 era tornato a casa dopo avere lavorato nella redazione della sua rivista e dopo aver fatto una visita all'amico Marcello Nizzoli. Lo trovarono morto all'indomani mattina nel bagno di casa sua. Di che fosse morto, durante la notte, non si capiva.

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