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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2012 alle ore 08:15.

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Inesplorato. Come lo è, in parte, tutto il Paese. I siti archeologici classificati sono più di 12mila, ma negli ultimi anni gli iracheni stanno verificando la presenza di moltissimi nuovi siti. «È plausibile – conclude Brusasco – che possano essere decine di migliaia. Tutti vulnerabili. I team di archeologi stranieri si contano sulla punta delle dita e il problema dei saccheggi è all'ordine del giorno». «Abbiamo bisogno di 17mila guardie a protezione dei siti e altri 750 archeologi», spiega Qais Hussein Rasheed, capo dello Sbah.
L'oro nero sta avendo la meglio sui fragili mattoni in crudo. Per troppo tempo l'Iraq è rimasto l'eterna promessa mancata. Possiede 143 miliardi di barili di riserve accertate, le terze al mondo. Ma nel suo sottosuolo ci sarebbero altri 100 miliardi di barili. Per un Paese che non è riuscito a curare la sua "petrodipendenza", la ricchezza dipende da quanto greggio uscirà dai rubinetti (il petrolio copre il 90% in valore dell'export). La produzione è tornata a 3 milioni di barili al giorno (mbg), il massimo da 22 anni. Ma le ambizioni sono ben altre: 5, anche 6 mbg nei prossimi anni.
«L'oleodotto minaccia l'integrità di Babilonia, condizione fondamentale perché sia inserita nella lista dell'Unesco (a oggi ci sono solo Hatra, Samarra e Ashur) – precisa Peruzzetto –. Come Wmf, in collaborazione con lo Sbah, siamo impegnati in un progetto mirato alla preparazione del piano di gestione e conservazione del sito. Un progetto che agevolerebbe il raggiungimento di questo importante obiettivo». In passato lo Sbah ci aveva provato due volte senza successo.
L'oleodotto è solo l'ultima delle ferite inferte al patrimonio culturale della Terra tra i due fiumi. Un Eldorado dell'archeologia, eppure, per motivi di sicurezza, una delle regioni più disertate dagli archeologi di tutto il mondo.
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