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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2012 alle ore 08:43.

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Ho pensato di fare un altro elenco, quello dei partiti che sono nati al Nord, e mi sono stupito di una cosa: la politica del Novecento è nata a Milano – e spesso vi è tornata per morirci. Il Partito socialista, per esempio, è stato fondato a Genova, ma le sue due componenti fondative, il Partito operaio e la Lega socialista, erano milanesi; a Milano Tangentopoli ha messo la pietra tombale sul Psi. I Fasci Italiani, preludio al Partito fascista, erano milanesi, e a Milano c'è Piazzale Loreto; milanesi e lombardi sono stati l'ascesa e il declino di Forza Italia e dei suoi derivati; il percorso della Lega ha avuto inizio in Veneto e in Lombardia: dai piccoli comuni dislocati nei territori più profondi, guidati da economie locali, con poche imprese e una grande influenza delle parrocchie e della Dc, ha avuto le sue roccaforti nelle città medie e nelle province, ma è stata sicuramente la conquista di Milano con la giunta Formentini a farle fare il salto definitivo. Oggi è tra il Palazzo della Regione e via Bellerio che si consuma la sua fine.

C'è nella parte settentrionale del Paese qualcosa di germinativo e finale: le grandi industrie, il sistema della piccola e media impresa e molte componenti politiche che hanno fatto la storia italiana sono nate qui, e qui hanno vissuto i momenti decisivi. Sono nate qui anche le lobbies che tengono tutto bloccato e che da anni gestiscono interi reparti della società (penso a Cl e al sistema sanitario lombardo): i sociologi Paolo Perulli e Angelo Pichierri sostengono che è il sistema delle piccole imprese e della politica di consumo – che mira a tornaconti immediati – ad avallare implicitamente l'esistenza di lobbies del commercio e dell'industria che tutelino gli interessi qui e ora.

Forse è per via di queste continue nascite e di queste morti che la crisi e il sentimento della fine hanno nel Nord il loro epicentro: mentre negli anni 80 il sistema industriale comincia a mostrare le prime crepe, le zone più remote, dove regnano le piccole imprese a conduzione familiare, scoprono il localismo anche in politica e riversano il proprio malcontento cominciando ad appoggiare le varie leghe, che sull'identità locale, la lontananza da Roma e il sospetto nei confronti del meridione fondano un'ideologia della separazione. Tangentopoli, altro evento milanese, sancisce la fine di un'epoca: a Milano, lo aveva del resto già dimostrato Piazzale Loreto, le cose sanno nascere ma ci vengono anche a morire. La Prima Repubblica se ne va e ne nasce una nuova, che ha nella Lega Nord e nel berlusconismo i suoi nuovi punti di riferimento.

Il nuovo populismo, non ne è alieno nemmeno Beppe Grillo, ha questa caratteristica, tutta padana: l'assoluta identificazione e dipendenza del partito e del popolo degli elettori dalla figura del fondatore. Io credo che questa sia una delle chiavi per comprendere la svolta politica del Paese negli ultimi vent'anni: persa la fiducia nel sistema dei partiti, gli italiani hanno cominciato a seguire movimenti retti dal carisma indiscutibile di un uomo. Non è un caso, forse, che la crisi della Lega di questi ultimi mesi dipenda in gran parte, secondo gli analisti, dalla malattia di Bossi; non è un caso, allo stesso modo, che l'inizio della fine del Popolo della Libertà sia rintracciabile nelle prime intercettazioni che hanno coinvolto Silvio Berlusconi. L'individuo che si erge a simbolo di qualcosa cade e con lui crolla il sistema che aveva creato portandosi dietro i suoi seguaci fidelizzati. È quello che succede a volte alle grandi industrie e ai regni: perso il padre fondatore, mostrano la corda, si frammentano, si disfano.

Anni fa, per caso, ho scoperto che in seguito a un'amichevole tra Inghilterra e Italia a Wembley, vinta da noi grazie a un gol di Fabio Capello, alcuni giornali inglesi titolarono Inghilterra 0 – Camerieri 1. In quel momento ho pensato che prima o poi avrei scritto un racconto in cui tutti gli italiani, chiuse tutte le fabbriche, sfinite le università, persa qualsiasi prospettiva, avrebbero cominciato a lavorare solo nel turismo trasformandosi in camerieri, guide turistiche, bigliettai nei musei. Tutti. Non l'ho fatto perché ne ha parlato prima di me Tiziano Scarpa, in un monologo che si intitola La custode: «Questa nazione non produce più niente. Automobili, navi, tecnologia: tutto finito. Fabbriche chiuse, cantieri smobilitati. La grande industria non esiste più. La piccola e media impresa arranca. Il calzaturiero soffre. Il tessile annaspa. Ci trasformeremo in un popolo di camerieri. Di cuochi e di lacchè. Verranno qui a prendere il sole e a rimpinzarsi dei nostri manicaretti. Già lo fanno. Ma fino a ieri venivano anche a fare affari. Da ora in poi verranno esclusivamente a spassarsela. Ci tratteranno come si tratta la servitù. E noi, servizievoli, sussiegosi, un po' laidi. Diventeremo tutti guide turistiche. Illustreremo quanto erano grandi i nostri progenitori. Li decanteremo. Così i morti l'avranno vinta una volta per tutte. Continueremo a occuparci di loro per sempre, gli dedicheremo tutta la nostra vita. Faremo i negozianti del nostro passato».

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