Esperienze e descrizioni

Questo desiderio di convincerci che la scrittura è viva quanto la vita stessa è stato suffragato di recente da una notizia "scientifica", apparsa sul «New York Times», che rivela come certe aree del cervello – quelle che reagiscono a odorato, udito, tatto, movimento, ecc. – vengono attivate dalle semplici parole. «A quanto pare il cervello», esulta il giornalista, «non distingue tra un'esperienza incontrata sulla pagina e quella incontrata nella vita reale».
Sciocchezze! Come se leggere di sesso uguagliasse a vivere realmente l'esperienza! Lo stesso articolo cita Keith Oatley, psicologo e "romanziere", il quale sostiene che «la lettura produce una vivida simulazione della realtà, che scorre nella mente come le simulazioni computerizzate scorrono sullo schermo... e per un certo aspetto i romanzi superano la simulazione della realtà per offrire un' esperienza non fruibile in altro modo che sulla carta: l'occasione di penetrare nei pensieri e nelle emozioni altrui.»
Se Oatley è sinceramente convinto di questo, presumo che non sia un bravo romanziere, il quale lavora soprattutto tramite forma e convenzioni. A metà del suo romanzo Sette anni, Peter Stamm mette in bocca al protagonista le seguenti parole per descrivere la sua amante stranamente docile e passiva: «Sin dall'inizio, il mio rapporto con Ivona non era stato altro che una storia, un mondo parallelo che obbediva alla mia volontà, dove potevo rifugiarmi ogni volta che volevo, per poi andarmene quando ne avevo avuto abbastanza».
Nient'altro che una storia. Deludente, ma anche rassicurante. Il brano è espresso in modo tale da suggerire la frustrazione stessa percepita dall'autore davanti alla sua professione così tranquilla e sicura. Ma un'amante è un'amante, e un romanzo è un romanzo. Chiedere a lei, o ad esso, di essere qualcosa di più sarebbe come chiedere all'amante di diventare la moglie, e al romanzo di trasformarsi in vita. Semplicemente impossibile.
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