Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2012 alle ore 07:46.

My24

Ma una miriade di minuscole, piccole e medie società petrolifere americane non si persero d'animo, e sfidarono la nuova frontiera sostenute da fondi privati, banche e private equity, perforando nuovi giacimenti di shale gas in altre parti del Paese a un ritmo impressionante, che al culmine del fenomeno superò i 1.300 nuovi pozzi ogni dieci giorni. Quando un pozzo produttivo cominciava a declinare, era più che compensato dalla produzione dei nuovi.

Così, partendo da zero nel 2000, la produzione di shale e tight gas superò i 100 miliardi di metri cubi già nel 2010 (per raffronto, l'Italia ne consuma circa 85 miliardi l'anno) e ha continuato a crescere fino a saturare il mercato e contribuire al collasso dei prezzi del gas negli Stati Uniti verificatosi agli inizi di quest'anno, quando gli americani pagavano un metro cubo di gas un quinto degli europei e un ottavo dei giapponesi.

Nel frattempo anche le grandi multinazionali si erano gettate sullo shale gas, ma lo avevano fatto con grande ritardo e nel momento peggiore – quello dei prezzi più alti. Dopo averlo a lungo snobbato, nel 2009 la Exxon comprò la più grande società produttrice di shale gas, la XTO, pagandola oltre 40 miliardi di dollari (compreso il debito). Passato poco più di un anno, i prezzi crollarono.

Intanto l'intraprendenza temeraria della piccola e media industria aveva già preso di mira un'altra frontiera, quella dello shale oil (da non confondere con l'oil shale, che si estrae da giacimenti più superficiali e deve essere trattato prima di ricavarne un precursore del petrolio, detto cherogene). Fino al 2007 si era pensato che fosse impossibile estrarre il petrolio da queste formazioni poiché la sua molecola – più grande di quella del gas – non sarebbe potuta fuggire dai pori di pochi nanomicron di rocce a bassissima permeabilità.

Tuttavia, tra il 2006 e il 2007, una media compagnia petrolifera – la EOG Resources – ripeté l'esperimento della Mitchell su un immenso giacimento di shale oil, quello di Bakken (in realtà, un altro giacimento tight), in North Dakota. Di nuovo, ciò che sembrava impossibile si rivelò possibile: il petrolio fluiva in quantità significative.

La crisi finanziaria e il crollo dei prezzi del greggio del 2008 (2) rallentarono lo sviluppo della nuova frontiera, ma già nel 2010 la produzione di shale oil in North Dakota raggiunse livelli che nessuno aveva immaginato. Adesso, lo Stato confinante con il Canada è diventato il terzo produttore degli Stati Uniti, scalzando la California, grazie a una produzione di shale oil dal solo giacimento di Bakken di oltre 700.000 barili al giorno, più di quanto non produca il più grande giacimento del Kuwait. Ma la produzione è in crescita esponenziale, e potrebbe quadruplicare entro il 2020.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi