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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2012 alle ore 16:56.

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Senza poter variare il tasso di cambio, la differenza di competitività si può recuperare riducendo decisamente i redditi e quindi il tenore di vita. Il che infligerebbe grandi sofferenze e incontrerebbe una resistenza comprensibile. La incontrerebbe anche l'altra "soluzione": un aumento dell'emigrazione (per esempio dalla Grecia alla Germania). Una moneta unica in una federazione unita politicamente come gli Stati Uniti d'America sopravvive con mezzi (quali trasferimenti significativi e movimenti sostanziali della popolazione) di cui l'Europa politicamente disunita non dispone. Prima o poi andrà affrontata la spinosa questione della viabilità a lungo termine dell'euro, anche se i piani di salvataggio riescono a evitarne il collasso a breve.

Passiamo al secondo punto, ai tagli alla spesa pubblica che dovrebbero risolvere il problema immediato dei deficit eccessivi e degli enormi indebitamenti. E' difficile vedere nell'austerità una soluzione economica assennata all'attuale disagio europeo e potrebbe anche non ridurre il deficit.

Malgrado la retorica, l'insieme di interventi richiesti dalla leadership finanziaria europea è stato duramente anti-crescita. Nella zona euro, il PIL è calato nell'ultimo trimestre del 2011 e la crescita zero del primo trimestre del 2012 è stata addirittura accolta come una "buona notizia". Se si esclude la Germania, il risultato diventa una brutta notizia: una produzione in calo nel resto della zona euro. Il calo è proseguito in Spagna, Portogallo e Italia. In Grecia la caduta libera del 2011 (-6%) è rallentata un po', ma dal 2008 a oggi l'economia si è ridotta di un quarto. I cittadini e le economie hanno patito e i deficit sono rimasti invariati.

La storia dimostra in abbondanza che il mezzo più efficace per ridurre il deficit è di resistere alla recessione e di abbinare alla riduzione una rapida crescita economica. Enormi deficit sono scomparsi negli anni della crescita post-bellica. E' accaduta una cosa analoga negli otto anni della presidenza Clinton. Anche la riduzione molto elogiata del deficit della Svezia tra il 1994 e il 1998 è avvenuta durante un periodo di rapida crescita del PIL. Oggi la situazione è ben diversa: molti dei paesi ai quali si chiede di ridurre il deficit hanno una crescita zero o negativa e sono sottoposti a una disciplina di austerità che si aggiunge a una recessione.

Dire che durante una recessione economica le misure di austerità sono contro-produttive è spesso considerato, a giusto titolo, come una "critica keynesiana". Keynes sostenne – in modo convincente – che tagliare la spesa pubblica quando, per scarsità della domanda, un'economia ha una capacità produttiva inutilizzata, avrebbe l'effetto di rallentare ancora di più l'economia e di accrescere, invece di ridurre, l'occupazione. A Keynes va riconosciuto il merito di aver chiarito questo punto, elementare, ai politici di qualunque tendenza e di aver fornito un abbozzo – nulla di più, direi - di teoria per spiegare a grandi linee le interdipendenze delle varie attività economiche (sottolineando in particolare che la spesa di una persona è il reddito di un'altra). Sono sicuramente a favore di questo argomento e apprezzo anche il lavoro fatto da Paul Krugman, in particolare il suo eccellente contributo allo sviluppo e alla diffusione di tale prospettiva per mettere in discussione le misure di austerità massiccia prese in Europa.

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