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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2012 alle ore 15:46.

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Un analogo discorso si potrebbe fare per i romanzi e racconti di tono fantastico, che se non hanno mai incontrato da noi un ampio riconoscimento, neppure trovano il plauso degli anonimi giurati del premio veneto. Nel 1974, Le labrene di Tommaso Landolfi – un grande di questo genere, come giustamente individuato dalla giuria selezionatrice – cede il passo ad Alessandra di Stefano Terra; Fata Morgana di Gianni Celati dà luogo nel 2005 a due premiati ex-aequo, Il sopravvissuto di Antonio Scurati e Mandami a dire, di un poco noto, allora, Pino Roveredo. Più in generale nel palmarès campiellesco manca traccia, non già della voga pulp e noir, di cui si può intendere la provocatorietà inestetica; ma della giallistica latamente intesa, del legal-thriller, ormai accolti nel novero dei generi decorosi (Gianrico Carofiglio ci prova con Le perfezioni provvisorie, nel 2010, ma non la spunta).

Le giurie del Campiello, quella dotta come quella popolare, restano dunque, a mio parere, sostanzialmente indifferenti dinnanzi all'emergere di pop-forms al l'italiana; provano scarsa simpatia per il rimescolamento dei sottotipi romanzeschi intervenuto a seguito della stagione postmodernista. Certo, è questo il luogo in cui la letteratura d'intrattenimento più ha celebrato i suoi fasti merceologici; ma appunto è uno scenario nuovo, ulteriore, in cui il libro "valido", secondo l'accezione dei fondadatori, indiscutibilmente signoreggia. Suonerebbe fatuo chiedere al premio veneziano ciò che sensatamente non può dare: quindi niente lamenti sulla gran letteratura tradita o volontaristici appelli all'elitarismo di un tempo. Resta tuttavia auspicabile qualche aggiornamento: cauto, moderato, prudente – beninteso.

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