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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 08:49.

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Di avere qualcosa in comune con loro. Ergo, mi sforzai di frequentare solo inglesi, di studiarli e di capirli. D'altronde, ero per metà come loro, quindi mi sarebbe stato facile. E invece, dopo qualche mese di adattamento, mi resi conto di essere estremamente italiano. In generale, è ovvio, è molto più facile arrivare a chi si è per esclusione, come se si stesse intagliando un pezzo di legno rimuovendone le parti inutili o sgradite, ma comunque, in un modo o nell'altro, arrivai alla conclusione che, oK, il mio nome sarà anche inglese, e mio padre berrà pure l'Earl Grey e non il caffelatte, al mattino, e tiferà pure per l'Inghilterra ai Mondiali (quando ci arrivano), ma dopo quei mesi io, personalmente, capii di essere assolutamente italiano. Magari potrebbe sembrare poca cosa a un lettore dalla famiglia mono-nazionale, ma vi assicuro che per chi cresce con un nome che deve ripetere dalle due alle quattro volte ogni volta che si presenta, e che poi necessita di ulteriori spiegazioni in quanto "strano", è tanto. Soprattutto, poi, per i fini di questo articolo, quell'immergermi in un mondo così diverso dal mio mi permise anche di osservare con un filo di chiarezza in più non solo cosa non fosse italiano, ma anche cosa lo
fosse.

È nello Yorkshire che mi resi conto per la prima volta che molti degli stereotipi sugli italiani che ebbi modo di osservare nel manifesto e spregiudicato razzismo che permea la cultura britannica nascevano da cose molto, molto vere. Cose che, prima di andare a vivere all'estero, non avevo notato. Come tutti gli stereotipi, avevano origine da una serie di osservazioni generalizzanti e sommarie, ma spesso accurate. In altre parole: ci sarà una ragione se lo stereotipo dei tedeschi non è quello di simpaticoni bon vivant. Se le ragazze scandinave sono considerate facili. Se i kenyani sono poco più che un popolo di magrissimi fondisti che corrono per decine di chilometri a piedi nudi. Se i brasiliani vivono a ritmo di samba e doppi passi. D'altronde, come diceva il mio professore di Teoria marxista, «lo sport è il giardino dove sbocciano i fiori del nazionalismo popolare».

Alcune cose impensabili e assurde per un maschio anglosassone:
— La maglietta della salute o, più in generale, portare la canottiera
— Usare l'ombrello quando pioviggina, punti assurdità bonus quando il maschio in questione è calvo
— Asciugarsi i capelli con il fon; farsi la lampada, in qualsiasi situazione
— Giocare a calcetto con i parastinchi
— Portare la cuffia e le ciabatte in piscina
— Indossare sciarpe, cappelli o guanti di lana a meno che non si tratti di un'inverno siderale
— Volere il posto fisso
Il comico americano Dave Chappelle, prima di avere un esaurimento e trasferirsi in Africa per un anno senza dire niente a nessuno, si era creato un'eccellente carriera sfruttando in maniera esilarante e acuta il rapporto tra un gruppo di persone e un altro (bianchi americani e afro-americani), ma anche analizzando il confronto tra come i due gruppi si vedono a vicenda, e vedono loro stessi, e su come le visioni dell'altro vengano poi internalizzate e vissute.

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