Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2012 alle ore 08:20.

My24

Uno dei fiori all'occhiello del Napoli Teatro Festival è da sempre il fatto di proporre testi appositamente commissionati agli autori: che difficoltà comporta, per questi ultimi, scrivere su indicazioni che arrivano dall'esterno? Forse, a volte, le necessità dell'occasione coincidono con delle idee che già avevano in mente, forse invece altre volte l'impegno a lavorare in una certa direzione comporta qualche inevitabile forzatura.
Mi è sembrato che l'Antigone di Valeria Parrella, dove Creonte - detto qui il Legislatore - tiene artificialmente in vita, per accanimento terapeutico, Polinice, mentre la sorella gli stacca il respiratore, abbia appunto un limite di questo tipo: la riscrittura, che mescola i toni alti della tragedia con l'urgenza dell'attualità, Ananke con infinite liste di moderni farmaci, è molto interessante, ma l'incrocio fra la vicenda classica e l'odierno dilemma dell'eutanasia resta nell'ambito di una pura intenzione.
Nella regia di Luca De Fusco, Antigone e Creonte, come i due componenti del coro, Tiresia e gli altri personaggi, si stagliano nel buio simili a meri fantasmi della coscienza: lei, Gaia Aprea, emblema del mito, cala addirittura dall'alto. Il contrasto fra giustizia e verità che essi evocano si svolge in video, tra le loro immagini proiettate, scandito da didascalie quasi brechtiane: ma resta l'impressione di un dibattito solo enunciato, mai davvero calato in un concreto contesto di vita.
Tutto il contrario di quanto accade, a mio avviso, in C'è del pianto in queste lacrime, dove Antonio Latella parte da una personalissima riscoperta della sceneggiata quale nucleo primordiale dell'anima napoletana: spezzoni, spunti di questa forma espressiva sono qui precipitati in una realtà degradata, contaminata da echi televisivi - gli applausi registrati - e richiami al cinema di Tim Burton: a condurre l'azione è infatti un'ambigua figura dagli artigli d'acciaio come Edward mani di forbice. In proscenio, chiuso fra le sbarre di un letto di metallo, questo ragazzo-ragazza ricostruisce, come in flash-back, una storia famigliare di sangue e tradimenti: gli attori che la rappresentano si muovono sopra di lui, a mezza altezza, in una fenditura lunga e bassa che attraversa l'intero palcoscenico, costringendoli a scomode posture semi-piegate. Indossano tutti dei costumi da insetti, mosche, zanzare, scarafaggi, o piuttosto ne portano le carcasse sul corpo, come manichini kantoriani.
Del testo, elaborato da Linda Dalisi in un dialetto basso, plebeo, non si capisce una parola, ma si coglie tutto, perché investe la platea con una violenza devastante: memorabile, all'inizio, la scena in cui i dieci interpreti dicono insieme, come cupi automi, i versi di O' sole mio, battendo colpi contro la parete. Anche stavolta Latella ottiene un prodigioso risultato: smonta, svuota la struttura della sceneggiata e alla fine, all'improvviso, la ricompone per un attimo in tutta la sua forza emotiva.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Visti al Napoli Teatro Festival. Antigone sarà al Teatro Mercadante dal 21 novembre,
C'è del pianto in queste lacrime
al San Ferdinando dal 30 gennaio

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi