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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2012 alle ore 09:42.

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Gli uccelli (1963) di Alfred Hitchcock - Probabilmente il film di Hitchcock più vicino al genere horror, «Gli uccelli» è liberamente ispirato al racconto omonimo di Daphne du Maurier, ripensato dal regista dopo aver letto, sul quotidiano di Santa Cruz, di un’invasione di uccelli marini lungo la costa. A differenza di tanti altri autori più pedanti, Hitchcock rinuncia a priori a dare una spiegazione al comportamento degli uccelli, ma si limita a trasmetterne l’insensata (?) furia omicida contro gli uomini. Perfetta nei tempi filmici, la pellicola inizia placidamente per poi proseguire in un crescendo senza precedenti nel cinema di genere.
Tra le tante sequenze memorabili, l’attacco degli uccelli alla cabina telefonica dove si trova la protagonista Melanie Daniels, interpretata da Tippi Hedren.

Gli invasati (1963) di Robert Wise - Il più classico tra i film sulle case infestate dai fantasmi, «Gli invasati» racconta del dottor Markway, uno studioso di parapsicologia che riunisce tre persone per un esperimento di percezione extrasensoriale nell’antica dimora di Hill House, al cui interno sono accaduti in passato misteriosi fatti di sangue.
Omaggiando il suo maestro Val Lewton (grande produttore di horror degli anni ’40-’50), Robert Wise limita al minimo gli effetti speciali puntando sulle atmosfere, sulle suggestioni audiovisive e sulla psicologia dei personaggi. Le aspettative crescono di minuto in minuto, ma il finale non tradisce le attese.

Rosemary’s Baby (1968) di Roman Polanski - Si può definire un “horror da camera”, il capolavoro assoluto del grande regista polacco. Ispirato al romanzo di Ira Levin, a cui Polanski aggiunge la sua macabra ironia sottolineandone gli aspetti più ambigui, «Rosemary’s Baby» è una sulfurea parabola demoniaca, dove deliranti allucinazioni si uniscono a una sottile critica verso la società borghese dell’epoca.
Soltanto la nascita del figlio rivelerà a Rosemary (interpretata da un’ottima Mia Farrow) la verità su quanto le è accaduto, in un finale spaventoso e commovente al tempo stesso.

La notte dei morti viventi (1968) di George A. Romero - Primo capitolo della saga del regista americano sui morti viventi, a cui faranno seguito altre cinque pellicole.
Così come i successivi lavori di Romero, «La notte dei morti viventi», oltre a essere un terrificante film horror, è anche una lucida riflessione sociale sui temi della convivenza tra gli esseri umani, della guerra in Vietnam, del razzismo e della difficoltà di accettare tutto ciò che è diverso da noi.

L’esorcista (1973) di William Friedkin - Alzi la mano chi non è rimasto paralizzato di fronte allo schermo vedendo la piccola Regan, interpretata da Linda Blair, ruotare la testa di 180 gradi o mettersi a camminare come un ragno, imprecando contro il prete che cercava di esorcizzarla.
Al suo primo incontro con l’horror, dopo alcune commedie e film polizieschi, Friedkin ha fatto centro, grazie anche al celebre tema musicale «Tubular Bells» di Mike Oldfield.

Halloween (1978) di John Carpenter - Né Freddy Krueger (della saga di «Nightmare») né Jason Voorhees (di quella di «Venerdì 13»): è Michael Myers il più inquietante serial killer della storia del cinema di genere.
«Halloween» è una vera e propria lezione di regia, fatta da un grande maestro della settima arte, che gioca al gatto col topo con lo spettatore dal primo all’ultimo minuto. Memorabile la sequenza iniziale: tra gli incipit più suggestivi dell’intera storia del cinema.

Shining (1980) di Stanley Kubrick - Un travolgente saggio di virtuosismi tecnici unito a un’angosciante rappresentazione di una crisi familiare, «Shining» è l’ennesimo capolavoro diretto da Stanley Kubrick di cui non si può far altro che ammirare l’aliena perfezione.
Il romanzo di un allora quasi esordiente Stephen King venne smontato e rimontato dal regista, insieme alla co-sceneggiatrice Diane Johnson, senza badare troppo alla fedeltà verso il testo originale.
Come protagonista venne scelto senza esitazioni Jack Nicholson, definito da Kubrick il miglior attore della sua generazione, che nei panni di Jack Torrance riuscì a superare qualsiasi collega cimentatosi in ruoli simili in precedenza. Il suo personaggio si muove tra i corridoi dell’Overlook Hotel, vera e propria rappresentazione dei meandri della mente umana, i cui angoli e le cui stanze sono ancora oggi il luogo più terrificante mai apparso sul grande schermo.

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