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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2012 alle ore 14:17.

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Persiste in Italia – perché non è nata ieri – una sottovalutazione clamorosa di queste tematiche, di queste analisi, di queste ricerche: una sottovalutazione clamorosa da parte delle istituzioni rappresentative del mondo della politica, del governo nazionale, dei governi locali e anche di diversi settori della società civile. C'è una sottovalutazione clamorosa, quindi, delle conseguenze che invece bisognerebbe trarne sul piano delle politiche pubbliche; e non inganni la parola "pubbliche", perché politiche come quella fiscale vanno rivolte a sollecitare e rendere sostenibili anche iniziative private, del settore privato e del settore sociale: non si tratta di affidare tutto al pubblico, tutto allo Stato.

Comunque, a monte di tutte le carenze che qui sono state denunciate, di tutte le cecità di cui soffre la condizione riservata alla cultura oggi in Italia, c'è la scarsa consapevolezza – l'ho ripetuto anche qualche giorno fa – dell'importanza decisiva per il nostro Paese di uno straordinario patrimonio, «ben più largo – ha detto Giuliano Amato – di quello costituito dalle opere d'arte e tuttavia nutrito dallo stesso patrimonio genetico». Ma non voglio ritornare su questa accezione più larga, che il presidente Amato ha assai bene prospettato ed esemplificato. Riprendo invece la sua difesa della scelta dell'Assemblea Costituente. Difendo l'articolo 9 come uno dei principi fondamentali della Repubblica e della Costituzione, come scelta meditata, lungimirante e di sorprendente attualità; anche per come ha saputo abbracciare in due righe tutti gli aspetti essenziali del tema che ancor oggi dibattiamo (e voglio rendere omaggio a quei signori che sapevano scrivere in due righe una norma: sapevano scrivere in italiano le leggi, e innanzitutto la Legge fondamentale).

Vogliamo rileggerle, quelle due righe? Cito anche il primo comma, non solo il secondo: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica» – e già questo è un accoppiamento che non dovremmo mai trascurare nei nostri discorsi: cultura e ricerca scientifica e tecnica. L'articolo quindi continua: «La Repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione». Ebbene, quanto oggi le istituzioni della Repubblica «promuovono» e «tutelano»? Promuovono e tutelano ancora pochissimo, in modo radicalmente insufficiente. Quale peso – ci dobbiamo chiedere, al di là delle proclamazioni – si sta di fatto riconoscendo a quel dettato costituzionale, e dunque a una corretta visione del rapporto tra cultura e scienza, da una parte, e sviluppo dell'economia e dell'occupazione dall'altra? Non vorrei ragionare soltanto in termini economici: quale peso si sta riconoscendo al rapporto tra cultura e scienza, ulteriore incivilimento del Paese, benessere dei cittadini misurato secondo nuovi indici qualitativi, valorizzazione dell'identità e del prestigio dell'Italia nel mondo? Perché non c'è soltanto da valutare quale aiuto diano alla crescita del prodotto lordo la cultura e la scienza, ma come esse siano parte integrante del nostro stare nel mondo, con il profilo e il prestigio che le generazioni che ci hanno preceduto hanno assicurato all'Italia.

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