Il Sole 24 Ore
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19 novembre 2012

Antifragile. Evitare le eccessive precauzioni, accettare il caos e vivere felici e contenti

di Nassim Nicholas Taleb


Il vento può spegnere la candela e ravvivare il falò. Lo stesso avviene con la casualità, l'incertezza e il caos: bisogna imparare a farne uso, anziché tenersene alla larga. Dobbiamo imparare a essere fuoco e a sperare che si alzi il vento.

Non dobbiamo limitarci a sopravvivere all'incertezza, a farcela per il rotto della cuffia: non solo vogliamo sopravvivere all'incertezza, ma come quegli stoici particolarmente risoluti in epoca romana vogliamo avere l'ultima parola. La nostra missione consiste nel capire in che modo possiamo addomesticare, addirittura sottomettere, l'invisibile, l'opaco e l'inesplicabile. Come fare?

L'ANTIFRAGILE
Alcune cose traggono beneficio dagli shock, prosperano e crescono quando sono esposte a mutevolezza, casualità, disordine e fattori di stress e amano l'avventura, il rischio e l'incertezza. Ciò nonostante, a dispetto dell'onnipresenza del fenomeno, non disponiamo di un termine che indichi l'esatto opposto della fragilità. Per questo parleremo di antifragilità.
L'antifragilità va oltre il concetto di «resilienza elastica» e di robustezza. Una cosa resiliente resiste agli shock ma rimane la stessa di prima: l'antifragile dà luogo a una cosa migliore. Questa proprietà sottende tutto quanto cambia nel tempo: l'evoluzione, la cultura, le idee, le rivoluzioni, i sistemi politici, l'innovazione tecnologica, il successo culturale ed economico, la sopravvivenza delle organizzazioni, le ricette migliori (come ad esempio il brodo di pollo o la tartara con una goccia di cognac), l'affermazione di città, culture e ordinamenti giuridici, le foreste equatoriali, la resistenza ai batteri e via dicendo, fino a includere l'esistenza stessa della nostra specie su questo pianeta. L'antifragilità stabilisce il confine tra ciò che è vivente e organico (o complesso), come il corpo umano e ciò che è inerte, come ad esempio un oggetto fisico come la spillatrice sulla vostra scrivania.

L'antifragilità ama la casualità e l'incertezza, il che significa anche amare gli errori, o meglio una particolare classe di errori. L'antifragilità possiede una proprietà unica nel suo genere, che ci permette di venire alle prese con l'ignoto, di fare certe cose senza capirle e di farle bene. Permettetemi di essere più drastico: siamo molto più bravi a fare che a pensare, grazie all'antifragilità. Preferirei mille volte essere stupido e antifragile che estremamente intelligente ma fragile.
Afferrando il meccanismo dell'antifragilità possiamo costruire una guida, sistematica e di ampio respiro, ai processi decisionali non-predittivi in condizioni di incertezza nei più diversi campi: economia, politica, medicina e la vita in generale, in tutti quei casi, in definitiva, in cui prepondera l'ignoto, qualsiasi situazione in cui sussistono casualità, imprevedibilità, opacità o una comprensione incompleta delle cose.

È più semplice capire se qualcosa è fragile che prevedere l'insorgere di un evento che potrebbe danneggiarla. La fragilità può essere misurata. Il rischio (all'infuori dei casinò e della testa di quegli individui che si fanno chiamare «esperti del rischio») non è misurabile. Questa considerazione ci offre una soluzione a quello che ho chiamato il problema del Cigno Nero, ossia l'impossibilità di calcolare i rischi di eventi rari, ma pregni di conseguenze e di prevederne la comparsa. La propensione a subire danni dall'instabilità è un problema trattabile, molto più di quanto non lo sia quello di prevedere l'evento che causerebbe tali danni. Per questo ci proponiamo di ribaltare completamente i metodi che seguiamo solitamente per fare predizioni, pronostici e gestione del rischio.
In ogni campo o settore di applicazione, proporremo regole per passare dal fragile all'antifragile, per il tramite di una riduzione della fragilità o imbrigliando l'antifragilità. In effetti, possiamo quasi immancabilmente scoprire l'antifragilità (o la fragilità) per mezzo di un semplice test di asimmetria: tutto quello che presenta più vantaggi che svantaggi in caso di eventi casuali (o di taluni shock) è antifragile. Il suo contrario è fragile.

È essenziale comprendere che se l'antifragilità è la proprietà di tutti quei sistemi naturali (e complessi) sopravvissuti fino ad oggi, sottrarre a tali sistemi volatilità, casualità e fattori di stress non potrà che danneggiarli. In tal caso questi sistemi si indeboliranno, moriranno o andranno in pezzi. Siamo riusciti a «fragilizzare» l'economia, la nostra salute, la vita politica, l'istruzione e quasi ogni altro aspetto della nostra vita… proprio sopprimendo casualità e volatilità. Esattamente come passare un mese a letto (auspicabilmente con una versione integrale di Guerra e pace e tutti gli 86 episodi dei Soprano) causerebbe l'atrofia dei nostri muscoli, se vengono privati di fattori di stress i sistemi complessi sono destinati a indebolirsi o addirittura a morire. Il nostro mondo moderno e strutturato ci ha causato grandi danni con politiche e marchingegni calati dall'alto, ciò che chiamo «illusione sovietico-harvardiana», che rappresenta né più che meno un insulto all'antifragilità dei sistemi.
Questa è la tragedia della modernità: come avviene nel caso di genitori nevroticamente iperprotettivi, quelli che vorrebbero aiutarci sono proprio quelli che ci arrecano i danni peggiori.
Se tutto quello che viene imposto e calato dall'alto indica fragilità e blocca l'antifragilità e la crescita, tutto quel che procede dal basso prospera sotto l'opportuno ammontare di stress e di disordine. Il processo stesso di scoperta (ovvero di innovazione o di progresso tecnologico) dipende dall'armeggiare con l'antifragilità e da un'attiva sopportazione del rischio, piuttosto che da un'istruzione formale.

Tutto questo ci porta al maggior "fragilizzatore" della società, al più grande generatore di crisi, ossia il non avere una posta in gioco, partecipare senza rischiare in proprio. Alcuni diventano antifragili a spese degli altri approfittando dei vantaggi derivanti da volatilità, variazioni e disordine ed esponendo gli altri partecipanti al rischio delle concomitanti perdite. Si noti che questa «antifragilità a spese della fragilità altrui» è nascosta: in virtù della cecità dei circoli intellettuali sovietico-harvardiani questa asimmetria è raramente individuata e non viene mai insegnata. Si aggiunga che, come abbiamo scoperto nella crisi del 2008, questi rischi per gli altri partecipanti che si palesano senza preavviso possono essere facilmente occultati in virtù della crescente complessità delle istituzioni e della politica d'oggi. In passato erano soltanto le persone di alto rango o dei ceti più elevati che assumevano rischi e sopportavano gli svantaggi delle proprie azioni, mentre gli eroi erano coloro che lo facevano per il bene degli altri, oggi si verifica il contrario. Siamo testimoni della nascita di una nuova classe di eroi al contrario, ossia di quei burocrati, banchieri, frequentatori di Davos e accademici che hanno troppo potere e non devono sopportare il costo delle proprie azioni, né risponderne. Costoro sfruttano a proprio vantaggio le regole del sistema, il costo è a carico dei cittadini.
In nessun momento della storia un numero tanto grande d'individui che non corrono rischi ha esercitato un tale grado di controllo sugli altri. La principale regola etica è la seguente: non avrai antifragilità a spese della fragilità altrui.

L'ANTIDOTO AI CIGNI
Voglio vivere felice in un mondo che non capisco.
I Cigni Neri sono eventi su grande scala, imprevedibili e anomali contraddistinti dal fatto di avere enormi conseguenze. Imprevedibili, cioè, da parte di un determinato osservatore, che denominiamo «il pollo» quando rimane al tempo stesso sorpreso e danneggiato da eventi del genere. In passato ho affermato che la maggior parte degli eventi che hanno fatto la storia sono stati Cigni Neri, mentre noi ci preoccupiamo del fine-tuning della nostra interpretazione dell'ordinario e, di conseguenza, sviluppiamo modelli, teorie o rappresentazioni della realtà che non hanno la minima possibilità di tracciare o misurare l'eventualità di questi shock.
I Cigni Neri distorcono le nostre capacità intellettive, inducendoci a credere di averli «grosso modo» o «quasi» previsti, in quanto col senno di poi un Cigno Nero può essere spiegato. Non capiamo il ruolo dei Cigni Neri per questa illusione di predicibilità. La vita è molto, ma molto più intricata di quanto vorrebbe farci credere la nostra memoria: la mente ha la funzione di volgere la storia in qualcosa di fluido e lineare, il che ci induce a sottovalutare la casualità. Ma quando la scorgiamo, la casualità ci fa paura e ci porta a un eccesso di reazione. A causa della nostra paura e del nostro anelito all'ordine, alcuni sistemi umani – disgregando la logica invisibile, o non particolarmente visibile, delle cose – tendono a essere danneggiati da un Cigno Nero e a non trarne quasi mai un beneficio. Se si mira all'ordine, non si ottiene che una parvenza di ordine. Una qualche misura di controllo può essere raggiunta solo sposando la casualità.

I sistemi complessi sono densamente popolati da interdipendenze – difficili da rilevare – e di risposte non-lineari. «Non-lineare» significa che, ad esempio, raddoppiando la dose di un medicinale o il numero dei dipendenti di una fabbrica l'effetto che si ottiene non è il doppio del precedente, ma molto superiore o inferiore. Trascorrere due fine settimana a Filadelfia non è doppiamente piacevole che passarcene uno: lo so, ho provato. Quando la risposta viene tracciata su un grafico, non si ottiene una linea retta (una rappresentazione «lineare»), bensì una curva. In un ambiente del genere i nessi causali semplici sono fuori posto: è difficile capire come funziona l'insieme osservando le singole parti.
I sistemi complessi di origine umana tendono a sviluppare effetti a cascata e reazioni a catena incontrollate che riducono, o eliminano, il grado di prevedibilità del sistema e causano eventi fuori norma. Pertanto il mondo moderno riesce ad accrescere le sue conoscenze tecnologiche, ma paradossalmente ciò rende le cose decisamente più imprevedibili. Oggi, per motivi connessi all'aumento dell'artificiale, al distacco da modelli ancestrali e naturali e alla perdita di robustezza dovuta alle complicazioni insite nel disegno di tutto quel che ci circonda, il ruolo dei Cigni Neri cresce. Per giunta siamo vittime di un nuovo morbo, la «neomania», che ci fa costruire sistemi vulnerabili ai Cigni Neri: ossia, il «progresso».

Un aspetto abbastanza irritante del problema del Cigno Nero è che le probabilità che si verifichi un evento raro sono, molto semplicemente, impossibili da calcolare. Sappiamo molto meno delle alluvioni secolari che non di quelle quinquennali: gli errori insiti nel modello si ingigantiscono quando si parla di probabilità esigue. Più raro è un evento meno risulta affrontabile e meno sappiamo della frequenza con cui si verifica. Eppure più un evento è raro maggiore è la sicumera che contraddistingue gli "scienziati" impegnati a predirlo e a utilizzare nelle loro conferenze presentazioni in PowerPoint piene di equazioni su brillanti sfondi colorati.È di grande aiuto il fatto che Madre Natura, grazie alla sua antifragilità, sia la migliore esperta di eventi rari e la miglior incassatrice di colpi dei Cigni Neri: nel corso di miliardi di anni è riuscita a giungere fino a oggi senza fare particolare affidamento sulle istruzioni di un manager laureato nelle migliori università e nominato da un consiglio di amministrazione. L'antifragilità non è solo l'antidoto ai Cigni Neri: comprenderla ci rende meno intellettualmente timorosi, facendoci accettare quegli eventi che sono necessari per lo sviluppo della storia, della tecnologia, della conoscenza e di ogni altra cosa. Bisogna tenere in considerazione che Madre Natura non è solo «sicura». È iperattiva nella distruzione e nella sostituzione, nella selezione e nel rimescolamento delle carte. Quando si ha a che fare con eventi casuali, la «robustezza» certamente non basta. Il tempo è spietato e sul lungo periodo qualunque cosa presenti la minima vulnerabilità è destinata a spezzarsi. Ciò nonostante il nostro pianeta esiste da qualcosa come quattro miliardi di anni ed è chiaro che la sua robustezza non può essere stato il fattore decisivo. Visto che la robustezza perfetta è irraggiungibile, necessitiamo di un meccanismo in virtù del quale il sistema possa continuamente rigenerare se stesso approfittando – anziché subirne gli effetti – degli eventi casuali, degli shock imprevedibili, dei fattori di stress e di volatilità.

Sul lungo periodo, l'antifragile trae beneficio dagli errori di previsione. Se seguite l'idea fino alle sue logiche conseguenze, capite che il mondo d'oggi dovrebbe essere dominato dalle cose che traggono vantaggio dalla casualità e non dalle cose che ne sono invece danneggiate, e che quindi dovrebbero essere scomparse. Ebbene, è proprio così. Viviamo nell'illusione che il mondo funzioni grazie a un piano programmato, dalla ricerca universitaria o dai fondi della burocrazia, ma esistono prove convincenti a dimostrazione del fatto che si tratta di un'illusione, l'illusione che definisco «insegnare a volare agli uccelli». La tecnologia è l'esito dell'antifragilità, sfruttata da chi è disposto ad assumersi un rischio trafficando, armeggiando, ritoccando e imparando dagli errori, mentre la progettazione a tavolino rimane in secondo piano. Sarà necessario ridefinire le interpretazioni storiche della crescita, dell'innovazione e di molte di queste cose.

SULLA MISURABILITÀ
Ho affermato che possiamo stimare, persino misurare, la fragilità e l'antifragilità, mentre non possiamo calcolare i rischi e le probabilità di shock ed eventi rari. La gestione del rischio, così come è attualmente praticata, consiste nello studio di un evento che avrà luogo nel futuro: solo alcuni economisti e altri pazzi possono vantarsi – contro ogni esperienza – di saper «misurare» l'incidenza futura di questi rari eventi, mentre i gonzi li stanno a sentire, a dispetto di quel che ci insegnano l'esperienza e i precedenti su pretese di tal fatta. Fragilità e antifragilità fanno parte delle proprietà correnti di un determinato oggetto, come un tavolino da caffè, un'impresa, un comparto produttivo, un Paese, un sistema politico. Possiamo rilevare la fragilità, vederla, in molti casi misurarla, o quanto meno misurare comparativamente la fragilità con un ridotto margine d'errore, mentre il raffronto tra rischi si è dimostrato finora inaffidabile. Non è possibile affermare in modo attendibile che un qualsiasi evento o shock lontano da noi sia più probabile di un altro, ma si può affermare con un grado di sicurezza maggiore che un oggetto o una struttura, qualora dovesse verificarsi un determinato evento, risulterebbe più o meno fragile di un altro. Si può facilmente affermare che nostra nonna è più fragile di noi in caso di un repentino cambiamento di temperatura, che un qualsiasi dittatore, se dovesse prodursi un cambiamento politico, sarebbe più fragile della Svizzera, che in caso di crisi una banca sarebbe più fragile di un'altra o ancora che, in caso di terremoto, un edificio moderno costruito alla bell'e meglio sarebbe più fragile della cattedrale di Chartres. Inoltre, si potrebbe azzardare una previsione su quale dei due è destinato a durare di più.

Piuttosto che una disamina del rischio sostengo il ricorso al concetto di fragilità, che è non-predittivo e, a differenza del rischio, comporta un termine interessante che può descrivere il suo opposto funzionale: il concetto di antifragilità. Per misurare l'antifragilità esiste una ricetta paragonabile alla pietra filosofale, una ricetta che si avvale di una regola compatta e semplificata che ci permette di individuare l'antifragilità nei domini più diversi, dalla salute alla costruzione delle società.
L'umanità ha inconsciamente sfruttato l'antifragilità – nella vita concreta – e l'abbiamo consapevolmente rifiutata – nella vita intellettuale.
La nostra idea consiste nell'astenersi dall'interferire con le cose che non capiamo. È vero che alcune persone tendono a fare l'opposto. Il fragilista appartiene a quella categoria di persone che indossa solitamente giacca e cravatta, spesso il venerdì, che ascolta le vostre battute con gelida solennità, che sviluppa problemi alla schiena a forza di stare seduta a una scrivania, viaggiare in aereo e leggere quotidiani. Il fragilista è sovente impegnato in uno strano rituale, una cosa detta «riunione». Ora, in aggiunta a questi tratti, il fragilista pensa istintivamente che quello che non vede non c'è, o che quello che non capisce non esiste. Il fragilista tende a confondere l'ignoto con l'inesistente.

Il fragilista è facile vittima dell'illusione sovietico-harvardiana, la sopravvalutazione dell'applicabilità delle conoscenze scientifiche. A causa di questa illusione, egli è un razionalista ingenuo, un razionalizzatore o talvolta semplicemente un razionalista: è convinto che le ragioni che stanno dietro alle cose gli siano automaticamente accessibili. Non confondiamo la razionalizzazione con la razionalità: si tratta di due concetti quasi diametralmente opposti. Al di fuori della fisica, e in generale nei domini complessi, le ragioni che stanno dietro alle cose hanno la tendenza a essere meno ovvie ai nostri occhi e ancor meno ovvie agli occhi di un fragilista. Il fatto che le cose naturali tendano a non mettersi in bella evidenza in una sorta di manuale d'uso, ahimé, non è un ostacolo: alcuni fragilisti non esiteranno a unire gli sforzi per scrivere un manuale d'uso, grazie alla loro definizione di «scienza». È così che, grazie al fragilista, la cultura moderna ha gradualmente eretto un muro di cecità attorno al ruolo che nella vita ha il misterioso, l'impenetrabile, quello che Nietzsche definiva il dionisiaco. Ovvero, per tradurre Nietzsche nel gergo, meno poetico, ma non meno acuto, di Brooklyn, si tratta di quello che il nostro personaggio Fat Tony chiama «'na fregatura». In sintesi il fragilista (il pianificatore sociale, economico, medico) è chiunque vi spinga a impegnarvi in imprese o in azioni, tutte artificiali, in cui i vantaggi sono pochi e visibili, mentre gli effetti collaterali sono potenzialmente gravi e invisibili.

Esiste il fragilista in campo medico, che eccede nell'intervenire, negando la capacità naturale che ha il corpo di risanarsi somministra farmaci che hanno possibili effetti collaterali gravi, il fragilista politico che scambia l'economia per una lavatrice che ha bisogno di continue riparazioni (effettuate dal fragilista stesso) e finisce per metterla fuori uso, il fragilista psichiatrico, che interviene sui ragazzini per «migliorare» la loro vita intellettuale ed emotiva, la mamma attiva e fragilista, il fragilista finanziario, che induce altri ad avvalersi di modelli di «rischio» che distruggono il sistema bancario (per poi utilizzarli da capo), il fragilista militare, che disturba sistemi complessi, il previsore fragilista, che vi fa prendere sempre più rischi.
Al dibattito politico manca un concetto. I politici mirano ai timidi concetti di «resilienza», «solidità» e non all'antifragilità e così soffocano il meccanismo della crescita e dell'evoluzione. Non siamo arrivati a essere quel che siamo grazie al rammollitissimo concetto di resilienza. E quel che è peggio, non siamo quel che siamo grazie ai politici, ma ci siamo arrivati grazie al desiderio di venire alle prese con il rischio e l'errore di un certa classe di individui che dovremmo incoraggiare, tutelare e rispettare.

Un sistema complesso non ha bisogno di sistemi e regole complicate, né di politiche involute. Più è semplice meglio è. La complicazione porta a catene di effetti imprevisti. A causa della sua opacità, ogni intervento conduce a conseguenze inattese, seguite dalle scuse per il loro aspetto «imprevisto» e che quindi necessitano di un ulteriore intervento al fine di correggere gli effetti secondari, il che porta alla ramificazione esplosiva di risposte «impreviste», ciascuna delle quali è peggiore della precedente. Ciò nonostante, non è facile realizzare la semplicità nella vita moderna: questo concetto è contrario allo spirito di quel particolare tipo di individui che va in cerca di sofisticazione e complicazione così da poter giustificare l'esistenza della loro professione.
Nel meno sta il più e solitamente è più efficace. Quello che propongo è un itinerario per modificare i nostri sistemi di realizzazione umana in modo da permettere al semplice (e al naturale) di fare il proprio corso.
Ma realizzare la semplicità non è semplice. Steve Jobs l'aveva capito: «È duro chiarire il proprio pensiero per renderlo semplice».

Il viaggio verso l'idea di antifragilità è stato non-lineare. Un giorno ho capito che la fragilità (che non aveva una definizione tecnica) poteva essere espressa come ciò che non ama la volatilità e che ciò che non ama la volatilità non ama casualità, incertezza, disordine, errori, fattori di stress. Pensate a qualcosa di fragile, ad esempio gli oggetti nel soggiorno come il vetro nella cornice, il televisore o la porcellana. Se li etichettate come "fragili" vorrete per forza che siano lasciati in pace, in condizioni di calma, ordine e prevedibilità. Un oggetto fragile non potrebbe in alcun modo trarre beneficio da un terremoto o dalla visita di un nipotino iperattivo. Inoltre tutto quel che non ama la volatilità preferisce evitare fattori di stress, danni, caos, avvenimenti, disordine, conseguenze "impreviste", incertezze e, cosa importante, il passare del tempo. L'antifragilità deriva da questa definizione esplicita di fragilità. L'antifragilità ama la volatilità e ama il tempo. Inoltre esiste un nesso potente e utile con la non linearità: tutto quanto suscita una risposta non lineare è fragile o antifragile rispetto a una fonte di casualità.

L'aspetto più strano è che questa proprietà ovvia, ossia che tutto quanto è fragile, odia la volatilità e viceversa, era estranea al dibattito scientifico e filosofico. Viceversa, lo studio della sensibilità delle cose più diverse alla volatilità è la strana specializzazione lavorativa nella quale ho trascorso gran parte della mia vita da adulto. In quella professione ero concentrato nella scoperta di elementi che «amavano la volatilità» o «odiavano la volatilità». Di conseguenza ciò che dovevo fare era allargare le idee desunte dal settore finanziario al quale mi ero dedicato al concetto più ampio di processo decisionale in condizioni di incertezza nei campi più diversi, dalla scienza della politica alla medicina ai piani per una cena. In quella strana professione di persone che lavorano con la volatilità esistevano due tipi di professionista: la prima categoria era composta da accademici, compilatori di rapporti e commentatori che studiano gli avvenimenti futuri e scrivono libri e studi; la seconda era costituita da professionisti più pratici che, anziché studiare gli avvenimenti futuri, cercavano di studiare in che modo le cose reagiscono alla volatilità. La differenza tra queste due categorie è fondamentale: capire se qualcosa può essere danneggiato dalla volatilità (e quindi è fragile) è molto più facile e semplice che cercare di prevedere gli eventi dannosi, come un Cigno Nero smisurato. Ma solo chi studia le cose nella pratica (o le persone che fanno le cose) tende a capire spontaneamente questo punto.


19 novembre 2012