Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2012 alle ore 08:18.

My24

Forse la tendenza alla tolleranza razziale, religiosa e politica che continua a riaffacciarsi nella loro storia ha un ruolo nel successo dei colonizzatori portoghesi. Tanto per cominciare, il Portogallo aveva già alle sue radici una maggiore varietà e differenziazione culturale rispetto alle altre potenze coloniali europee.
***
In viaggio su una Studebaker.
Atterrai a Rio per la prima volta nel 1948, durante un viaggio in Sud America per scrivere alcuni articoli per «Life». Bill e Connie White, che all'epoca gestivano la sede di «Life-Time» in quella parte di mondo, si lasciarono scappare che il mattino seguente avrebbero preso la loro Studebaker per fare un giro nell'entroterra di Minas Gerais (lo Stato delle «miniere generali»), che si trova a nord della catena montuosa che circonda la città di Rio de Janeiro e la grande baia di Guanabara. Colsi al volo quell'occasione di esplorare il paese prima di finire risucchiato dalla capitale. I due si mostrarono chiaramente seccati quando chiesi se potevo unirmi a loro. Avevano progettato un viaggio più intimo. Borbottarono un riluttante assenso. Il viaggio però si rivelò un successo completo. Ci divertimmo come non mai.
Le strade erano malandate. Gli alberghi anche peggio. In un posto chiamato Conselheiro Lafaiete l'unico alloggio che riuscimmo a trovare pareva costruito sopra un deposito per locomotive. Di tanto in tanto dal pavimento filtravano il fumo e il vapore dei motori. In una stanza c'era una botola aperta dalla quale si rischiava di sprofondare in un oscuro abisso. Ci eravamo appena seduti attorno a un tavolo traballante in quell'appartamento spoglio e ci stavamo versando qualcosa da bere quando venne a mancare la corrente. Si spensero tutte le luci della città. Le strade erano piene di fango. Per trovare il ristorante dovemmo avanzare tastoni lungo i muri, al buio.
Scoprimmo che il locale era una specie di saloon, illuminato con lampade al cherosene. La folla era assai chiassosa, composta per lo più da manovali delle ferrovie. All'epoca, malgrado il cognome portoghese, io ancora cercavo di comunicare in spagnolo. A Conselheiro Lafaiete nessuno lo parlava, ma nessuno si mostrò stupito o infastidito nel vedere questi tre forestieri sbucati dall'oscurità. Ci fecero sentire a casa. La cena era a base di riso e fagioli, di qualità neppure ottima, ma il proprietario ce la servì con un garbo che la faceva sembrare una prelibatezza. Avemmo l'impressione di star mangiando un piatto da gourmet. Passammo una serata meravigliosa. Quando tornammo verso i nostri malconci giacigli di quel cosiddetto albergo sentivamo di conoscere un po' meglio la gente del posto, e che loro conoscessero un po' meglio noi. Non mi chiedete come. Eravamo diventati amici. È sempre andata così. Non posso fare a meno di sentire una certa familiarità verso i brasiliani. Forse anche perché mio nonno era portoghese. Quando qualcuno mi chiede perché voglio sempre tornare in Brasile, rispondo che in parte è perché il paese è davvero immenso, ancora selvaggio, e a volte mostruosamente bello; ma soprattutto perché lì mi sento più a mio agio tra la gente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Tratto da John Dos Passos, Sulle vie
del Brasile, traduzione di Nello Giugliano, Donzelli, Roma, pagg. 232,
€ 20,00 (in libreria questa settimana)
anarchico
John Dos Passos (Chicago, 1896 - Baltimora, 1970) intellettuale, scrittore, anarchico. Noto per il suo impegno civile e politico, negli anni Venti e Trenta è stato un accanito difensore di Sacco e Vanzetti. Ha ripiegato poi su sponde liberali di destra. Tra i suoi romanzi più famosi Tre soldati (1921) Manhattan Transfer (1925) e 42° parallelo (1930).

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi