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Questo articolo è stato pubblicato il 02 dicembre 2012 alle ore 08:17.

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Da oltre duemila anni il pensiero occidentale considera la visione lo strumento sensibile dell'intelletto che, nella fruizione dell'arte, assolve a uno dei compiti più alti dello spirito: la contemplazione estetica. La percezione visiva è stata oggetto di attenzione da parte della psicologia della Gestalt, nonché dei pionieristici studi di neuroestetica di Semir Zeki sul cervello visivo; indagini che non hanno fatto altro che convalidare l'idea, tanto platonica quanto cartesiana, che l'esperienza della visione sia del tutto disincarnata. Da anni, però, circola il "sospetto" che le cose non stiano solo in questo modo. Le indagini neuroscientifiche sul meccanismo specchio umano propongono un modello nuovo di percezione visiva, come di una esperienza incarnata e multimodale, capace di suscitare in chi guarda un genere di conoscenza istintiva e motoria, "carnale" prima che spirituale. Non si fatica a credere che tale modello abbia trovato una certa resistenza culturale, soprattutto quando viene toccata l'esperienza della visione dell'arte, considerata da sempre appannaggio delle cosiddette scienze dello spirito.
Com'è noto, i neuroni specchio si attivano sia quando si compie un'azione, sia quando si osserva qualcun altro compiere un'azione, sicché nella comprensione di ciò che si vede è coinvolto anche il sistema sensomotorio dell'osservatore, il quale guarda l'azione altrui come se fosse lui stesso ad agire. La neuroestetica si interessa allo studio del meccanismo specchio in relazione all'arte, perché la rappresentazione artistica comunica all'osservatore azione e movimento, sia nella figurazione, sia nello stesso gesto creativo.
«La complessità della relazione che si instaura tra un'opera d'arte e il suo osservatore va ben al di là della capacità del cervello di catturare elementi percettivi essenziali dell'oggetto osservato», afferma la neuroscienziata Alessandra Umiltà, che ha diretto un sensazionale esperimento sulla percezione di opere d'arte astratta presso il Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Parma, in collaborazione col Dipartimento di Storia dell'Arte e Archeologia della Columbia University di New York. All'esperimento hanno preso parte Cristina Berchio, Mariateresa Sestito, Vittorio Gallese e lo storico dell'arte David Freedberg quale testimone della proficua collaborazione teorica tra neuroscienze e scienze umane, altrimenti detta neurohumanities. La fruizione di un'opera d'arte visiva è un'esperienza estetica incarnata che impegna, oltre che il cervello visivo, anche il sistema sensorimotorio dell'osservatore. L'esperimento è stato incentrato sulla fruizione di opere di Lucio Fontana, i celeberrimi "tagli" sulla tela. La sperimentazione ha confermato che l'osservazione di segni statici prodotti sulla tela dal gesto intenzionale dell'artista – in questo caso il taglio – provoca l'attivazione della corteccia motoria cerebrale. 14 partecipanti sani sono stati sottoposti a Elettroencefalografia (EEG) mentre guardavano immagini ad alta risoluzione di tre opere originali di Fontana con tagli verticali su tela bianca; tali immagini erano mescolate a stimoli "di controllo", cioè rielaborazioni grafiche delle stesse opere di Fontana, dove il taglio però era sos tituito da una identica linea grafica tracciata su bianco. Dei 14 partecipanti, 7 avevano precedente familiarità con le opere di Fontana e gli altri 7 no. La EEG è uno strumento dotato di elettrodi che registra la variazione del ritmo MU, il flusso di onde elettriche cerebrali che attraversa la parte centrale del cranio e si interrompe quando si attiva il sistema motorio. L'esperimento ha dimostrato che in tutti i partecipanti vi era attivazione motoria, durante la contemplazione dei tagli originali di Fontana, ma non durante l'osservazione delle immagini rielaborate graficamente. Una scoperta importantissima e prima nel suo genere. Essa dimostra che il meccanismo specchio umano risponde quando si osserva un segno sulla tela che è l'effetto di un gesto creativo; gesto che viene "simulato" dall'osservatore mediante l'attivazione corticale di programmi motori – in questo caso relativi al gesto della mano che taglia. La corteccia motoria intercetta, dunque, nel segno astratto rilasciato sulla tela, la potenzialità dell'atto che l'ha creato, anche in assenza di una rappresentazione esplicita di movimento (come accade in un dipinto figurativo). Viene così confermata la teoria di Gallese della simulazione incarnata, secondo cui il coinvolgimento del meccanismo specchio nella contemplazione delle opere d'arte visuale è un importante ingrediente del sentimento di empatia che si prova di fronte a esse. L'esperimento ha evidenziato, inoltre, l'attivazione della corteccia motoria in tutti i partecipanti, indipendentemente da una loro precedente familiarità con le opere visionate. Anche chi non aveva mai visto prima un'opera di Fontana ha provato coinvolgimento motorio, come enerso dai dati EEG, e apprezzamento estetico, come emerso dai questionari somministrati ai partecipanti. Un'affermazione saggia, che mostra come aprirsi a una lettura ecologica dell'esperienza estetica non significa depauperare l'ineliminabile portato spirituale del fatto artistico, bensì riconoscerne la radice più autenticamente umana.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
M. Alessandra Umiltà, Cristina Berchio, Mariateresa Sestito, David Freedberg, Vittorio Gallese, Abstract art and cortical motor activation: an EEG study,
in Frontiers in Human Neuroscience,
XX Novembre 2012, vol. 6, art. 311: www.frontiersin.org

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