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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2013 alle ore 08:18.

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Ma ciò che irreparabilmente separò i genitori di Alexander Stille – almeno secondo la ricostruzione del figlio – fu il modo scelto da Misha Kamenetzki per rielaborare il trauma infantile e giovanile del suo duplice esilio. «Tutti i cambiamenti e gli spostamenti forzati conosciuti nei primi venticinque anni della sua vita gli avevano lasciato un profondo desiderio di cambiare e di spostarsi il meno possibile per tutto il resto della sua esistenza. Concretamente, ciò significava che nei successivi cinquant'anni avrebbe trascorso gran parte del suo tempo in pigiama, sdraiato sul divano del salotto, a leggere libri e giornali, a fumare e a bere caffè espresso. Mio padre ha portato l'immobilità a un livello metafisico».
Il mitico corrispondente da New York del «Corriere della Sera», l'uomo-chiave del dialogo postbellico fra l'Italia e l'America, il giornalista di razza che negli Ottanta sarebbe stato richiamato d'urgenza in Italia per insediarsi da direttore in via Solferino e salvare un «Corriere» sull'orlo del baratro, somigliava pericolosamente – in realtà – all'anti-eroe ultra-russo di uno dei suoi romanzi preferiti: somigliava all'Oblomov di Goncvarov, che «non si alza dal letto per le prime centocinquanta pagine del libro e, quando lo fa, è solo per spostarsi sul divano». Secondo Alexander, Ugo Stille era un Oblomov ebreo che faceva di tutto per tenere fuori dalla porta di casa non il gelo della Russia, ma il gelo della storia.
La forze delle cose è libro coraggioso e crudele. Muove dal coraggio di un figlio deciso a interrogarsi senza sconti sul matrimonio dei genitori, approda alla crudeltà di uno scrittore deciso a trasformare i familiari in altrettanti personaggi da romanzo. In questo senso, il libro di Alexander Stille regge il confronto con un altro grande libro recente, Scintille di Gad Lerner. Ed entrambi i libri finiscono per assumere il significato di personalissime riflessioni sulla Shoah. Sul potere rapinoso e maligno di una storia capace di stingere anche da lontano: dentro l'anima, e fin dentro l'alcova dei salvati.
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Alexander Stille, La forza delle cose.
Un matrimonio di guerra e pace tra Europa e America, traduzione di Stefania Cherchi, Garzanti, Milano, pagg. 468, € 24,00
ugo e alexander
Un destino nel segno del giornalismo
Nato in Russia da una famiglia di ebrei orientali successivamente profughi in Italia, Mikhail Kamenetzki (1919-1995) divenne Ugo Stille negli Stati Uniti, all'indomani della seconda guerra mondiale, riprendendo uno pseudonimo letterario che aveva condiviso giovanissimo con l'amico Giaime Pintor. Ormai cittadino americano, fu per quasi mezzo secolo corrispondente da New York del «Corriere della Sera» (che diresse dal 1987 al 1992), imponendosi come un giornalista fra i più conosciuti e autorevoli della sua generazione.
Nato a New York nel 1957, suo figlio Alexander insegna giornalismo internazionale alla Columbia University e scrive regolarmente su «La Repubblica». Tra le sue opere, «Uno su mille. Cinque famiglie ebraiche durante il fascismo» (1991), «Nella terra degli infedeli. Mafia e politica nella prima repubblica» (1995), e «Citizen Berlusconi. La vita, le imprese, la politica» (2006).

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