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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2013 alle ore 08:34.

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E ora, i comfort che il borghese bohémien cerca e trova nel quartiere: vogliamo il posto dove stanno i vecchietti, la bossanova e la cheesecake – già detto, è Necci.

Poi c'è Rosti, ristorante con grandissimo giardino stile Biergarten, così ti porti a casa il sapore di Berlino e Brooklyn (cose così stralette su D di Repubblica che mi sento in colpa a scriverle), e i bambini possono giocare su giochi di legno colorati a mano. Camerieri stronzi, il cibo arriva in ordine sparso.

Il cameriere stronzo è un tema: da Necci, durante la presentazione di un quotidiano di sinistra, il cameriere bòno extraparlamentare girava per i tavoli mormorando «Massoni!».

Poi c'è il centro wellness, dove puoi farti la sauna con il proprietario del bar, con tutti gli hipster che conosci. Ieri nell'atrio ho visto il tabellone con le offerte di un'agenzia immobiliare.

Al negozietto di vestiti per bambini ascoltano Belle and Sebastian e portano basette lunghe argentate. Si comprano tutine rosse di cotone asciugamanoso all'antica che trasformano in piccoli Tenenbaum colorati i tuoi figli e nipotini.

Due forze, quindi: povertà; libera impresa. Se il Comune e la società hanno deciso di fare del quartiere un punto di snodo per le forze creative e i servizi di una generazione, l'elemento povertà verrà emarginato con l'aumento degli affitti e la presenza strategica della polizia, che permette magari ai ricchi di pippare, ma certo non lascia infestare un quartiere in cui certi ricchi, i ricchi amanti della cultura e della sottocultura, vanno a spendere soldi al ristorante e con gli affitti: quindi caccerà gli spacciatori più appariscenti. Ma al Pigneto non li cacciano più. Negli ultimi anni, il quartiere modello della riqualificazione, Williamsburg, a Brooklyn, NY, ha mostrato cos'è la gentrification: lo visiti un anno e ti sembra un posto losco in cui girano gli artisti e aprono i locali con i concerti interessanti e le botteghe dei ciclisti. Il secondo anno, si popola di fighe e aprono le vinerie e i negozi di formaggi e i ristoranti etnici costosi. Il terzo anno si avvistano dei Suv e aprono dei boutique hotel. Il quarto anno, sul corso del quartiere, si avvistano le prime comitive di ragazzotti, frat boys rumorosi che vengono nei nuovi bar sport giganteschi in cui guardare il football sui maxischermi. Al Pigneto non è andata così. Al Pigneto, dopo un periodo di molta polizia, ora è la norma che una via che dà sull'isola pedonale, cuore del quartiere, sia popolata da spacciatori tutto il giorno. Gli affitti sono saliti ma il posto non si è ripulito.

Ora, noi scrittori di pezzi sul Pigneto come ci poniamo di fronte allo spacciatore di mezzogiorno che urla al collega mentre passi con la tua bici? E come ci poniamo di fronte al ristorante chic costoso e fastidioso? E alla compresenza dei due? Cosa vogliamo? Nei nostri pezzi di costume ci lamentiamo sia del degrado che del lusso. Ma esiste in città un luogo non esposto alle forze del presente, e che quindi non diventa da ricchi o da poveri? Qual è il nostro sogno? Come vorremmo il Pigneto?

Forse il nostro sogno è la versione hipster del ceto medio fascista: vogliamo un posticino tranquillo, senza spacciatori (la droga semmai la vogliamo spedita per posta da Amsterdam o Londra). E con locali che costano poco ma arredati con gusto, non macchine da soldi come Rosti. Vogliamo un posto fuori dalla storia.

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