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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2013 alle ore 07:50.

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Una notte, sul roadster Mercedes di McCoy, prendono la svolta sbagliata e si ritrovano nel Bronx, dove vengono fermati da una grezza barricata di secchi della spazzatura che blocca una rampa. Dal nulla appaiono due giovani neri, gli si fanno incontro. Nel panico, McCoy e la sua tipa schizzano via, in Mercedes, da quella trappola, sbalzando via uno dei ragazzi, facendolo finire di testa contro l'asfalto – e non si fermeranno.

La polizia rintraccia McCoy grazie alla targa. Il giovane nero è ricoverato in condizioni critiche. McCoy viene arrestato con l'accusa di assalto aggravato con arma pericolosa (l'auto) e con l'accusa di omissione di soccorso. Un agitatore razziale nero, il Reverendo Bacon, e un vecchio marxista avvocato dei diritti civili, residuato degli anni Sessanta, reclutano un reporter di tabloid ubriacone e trasformano l'incidente in uno scandalo razzista. Orde di manifestanti sfilano di fronte al palazzo di McCoy in uno dei tratti più eleganti di Park Avenue.
Come andrebbe il test di McCoy se John Coates lo esaminasse oggi? C'è un vecchio modo di dire americano, perfetto per l'occasione: «Non sarebbe riuscito a farsi arrestare». Lo si usa per definire uno che nessuno si fila.
Tanto per cominciare, oggi non avrebbe valori alti di testosterone. Avrebbe alto il cortisolo, che indica lo stress. Nel caso di McCoy, non sarebbe uno stress da lotta o muori, il più grave. Sarebbe uno stress di moderata gravità: lo stress da status. Ah… pensa ai vecchi tempi, quando queste sale della grida ruggivano delle voci dei giovani che urlavano in piedi, telefono in una mano, l'altra stretta a pugno per colpire l'aria… pensa a come gridavamo e ci offendevamo gli uni gli altri, niente di carino, niente di educato, certo, ma certo faceva scorrere l'adrenalina e pompare il testosterone. Ne avevamo bisogno! Era tutto sulle nostre spalle e i nostri nervi e la nostra volontà di spencolarci sul vuoto e correre dei grossi rischi – adesso! su due piedi! – noi, proprio noi! – e non consegnare la nostra virilità a dei robomostri che si battono con impulsi elettrici così veloci che non abbiamo idea di cosa stiano facendo, figuriamoci del come.
Guardateci oggi, praticamente legati alle sedie, muti, che cerchiamo di tener d'occhio sei schermi alla volta, sei schermi impilati tre su tre a escludere ogni contatto che abbiamo col mondo reale. Non si sente un rumore! È come un ufficio assicurazioni. Non stiamo combattendo con nessuno, per niente.

Non saremmo capaci di farci arrestare! Non abbiamo i valori ormonali con cui puoi andar dietro alle ragazzine e farla franca dopo gli incontri più azzardati. Non abbiamo il testosterone, ma abbiamo litri e litri di cortisolo che ci assicurano una preoccupazione costante, incessante. Mettiamo però che oggi facessimo nel Bronx un qualcosa che nel 1987 avrebbe spinto un vecchio avvocato bianco dei diritti civili e un agitatore razziale nero a inseguirci con farsesche e rumorose dimostrazioni di rabbia. Oggi non perderebbero tempo con noi. Oggi uno Sherman McCoy non potrebbe permettersi Park Avenue e sarebbe complicato descriverlo come uno spietato capitalista – e soprattutto non varrebbe la pena denunciarlo (per conto della famiglia della vittima, e prendendosi due terzi del grosso risarcimento assegnato dalla giuria, essendo questo lo schema, nel 1987). E poi, oggi gli agitatori hanno chiuso bottega. Durante la campagna elettorale del 2008, il Presidente Obama non ha mai detto: «Ribellatevi! Spezzate le vostre catene e prendete ciò che vi spetta di diritto!». No, avendo la testa sulle spalle ha detto: «Dobbiamo tutti esaminare con attenzione le nostre vite e capire come possiamo renderle migliori». La cosa ha fatto talmente infuriare il Reverendo Jesse Jackson che durante uno stacco pubblicitario su una trasmissione di approfondimento su Fox, ha detto – non sapendo che c'era un microfono aperto: «A Obama gli taglierei le palle». Ma fu svelto a smentire pubblicamente, rendendosi conto che non c'era assolutamente margine di manovra per sfidare il primo presidente nero. Non ha detto altro che cose amichevoli ed educate da quel momento in poi. Il Reverendo Al Sharpton l'ha capito da subito ed è entrato di fatto nel governo Obama quasi da ministro senza portafoglio.

Quanto al crash del 2008… In termini di orgoglio puro, è stato una manna per i poveri Padroni dell'Universo. In cifre, 460mila persone nel settore finanza, impiegati di ogni livello, hanno perso il lavoro nella tetra discesa che ha fatto seguito. Fra tante macerie, dal punto di vista dell'orgoglio non è parso troppo male quando i broker e i capi dei desk, e anche, ogni tanto, qualche quant, hanno perso il loro. Le macerie hanno coperto la sciarada, la farsa, i giochetti, la recita di cui i Padroni dell'Universo erano diventati parte.
Sherman McCoy ha tenuto a freno la lingua, ma tra sé e sé ha mormorato: «Ave a voi, Eunuchi dell'Universo».
(Traduzione di Francesco Pacifico)

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