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Questo articolo è stato pubblicato il 14 aprile 2013 alle ore 08:18.

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«Rembrandt diceva che non basta avere gli occhi per vedere. Ci vuole una capacità visionaria». Uno dei pochi a possederla, secondo Greenaway, era Federico Fellini, che l'artista gallese ha omaggiato con Otto donne e ½ (1999), un tributo alla quasi omonima pellicola del regista riminese. «È per me l'opera più importante e significativa di Fellini, perché è una riflessione sulla crisi creativa di un artista e quindi è un'autoanalisi». Una pellicola che quest'anno compie cinquant'anni, ma che non tradisce segni di stanchezza. «A dire il vero ho avvertito la malinconia della fine incombente. Parlo naturalmente da cinico uomo inglese, ma ho trovato un po' sospetto il sentimentalismo sul finale, anche se è una caratteristica di tutta l'arte italiana in generale», sottolinea con un ampio gesto, come a voler ricomprendere i tesori della Galleria Barberini. «Tuttavia Fellini aveva un'eccitante abilità visionaria, un'intelligenza cinematografica fulgida, rarissima, che pochissimi registi possiedono».
Eppure anche Greenaway è scrittore, ha prodotto diversi romanzi, soprattutto negli anni giovanili, in cui si ravvisa un tributo a Borges, di cui Finazzer Flory, prima della lectio, ha recitato un brano tratto dal l'Aleph. «Quando fu pubblicata la prima traduzione di Borges in America e in Inghilterra era il 1963, avevo 21 anni ed era il tempo in cui cercavo risposte sul mondo e sulla fenomenologia. Borges esplorava queste idee, alcune stupide altre fantastiche o profonde e per la mia generazione è stato molto importante».
I prossimi progetti multimediali di Greenaway contemplano Guernica (1937) di Pablo Picasso, Las meninas (1656) di Diego Velázquez, Le ninfee dell'Orangerie (1920- 1926) di Claude Monet, La grande Jatte di Georges Seurat, lavori di Jackson Pollock e Il giudizio universale di Michelangelo (1535-1541). «Contempliamo solo soggetti molto famosi, magari perché riprodotti su una cartolina natalizia, o su una scatola di cioccolatini: devono essere, insomma, profondamente radicati nell'immaginario comune. L'istallazione al Cenacolo ha portato via otto mesi effettivi di lavoro e oltre un anno per vincere le comprensibili resistenze della sovrintendenza che temeva danni dovuti all'esposizione dei fasci di luce. Siamo riusciti a dimostrare l'assoluta innocuità dell'impresa, soprattutto a fronte di opere che ogni giorno vengono inondate dai flash delle macchine fotografiche». Un piano impegnativo, che forse avrà un punto in più in agenda, vista la maniera scaltra e maliziosa con cui l'artista osserva l'affresco di Pietro da Cortona.
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