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Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2013 alle ore 11:44.

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Forse il Papa è il solito Papa, o se è per questo il solito prete: salva la gente di nascosto durante una dittatura ma non affronta la questione di petto ideologicamente. In un certo senso razzola bene e predica male.

Mi viene da dire che conosco questa Chiesa. Aneddoto: nella mia parrocchia circolava sempre il custode del nostro palazzo, un vecchietto amato da tutti. Non so perché lo ricordo intento a cambiare l'acqua dell'acquasantiera. Dev'essere un riassunto che fa il mio cervello delle sue mansioni. Faceva qualcosa in chiesa, faceva qualcosa nel palazzo, proprio di fronte alla chiesa. Non aveva moglie. Alcuni uomini si avvicendarono come aiuto-custodi del palazzo, e vissero a casa sua, trattati bene da tutti sia in chiesa sia nel palazzo. Solo molto tempo dopo che era morto di vecchiaia mi venne riferito che era omosessuale e che gli aiutanti erano quindi – oh – i suoi fidanzati.
Ma non devo perdere di vista il punto fondamentale di tutta questa faccenda papale: ora che ho davanti agli occhi le chele pelose dell'insetto Papa messo al microscopio, come farò a considerarlo il mio interfaccia per la preghiera? Mi serve un'interfaccia faccioso, un vecchio che ha recitato milioni di rosari e abbia una rotondità da Charlie Brown per accompagnarmi nelle preghiere della sera, quando vado incontro ai terrori notturni e cerco conforto nel pensiero che la coscienza non è stata sbattuta nella ciotolina dura del mio cranio solo per farmi morire di paura, ma per portarmi un giorno nell'eternità solare.

Questo Papa dunque sarebbe uno che con le dittature ci poteva parlare, che non le condannava, salvo poi praticare tutta la misericordia nel privato dei tentativi di salvare la gente dalle torture effettive. Certo, non una forza di progresso nel senso comunemente inteso a sinistra.
Ma quel che serve non è una guida autorevole della Chiesa. Non siamo più nell'era dell'autorialità. Guardiamo serie tv di cui ignoriamo gli autori. Il volto della Chiesa non dovrebbe essere uno che non si sa se ha salvato tanta gente – ecco che parte «è lo Schindler argentino» – o se invece ha mandato a morire due gesuiti perché frequentavano i marxisti nelle baraccopoli, e forse erano andati a letto con qualche donna perché la Teologia della liberazione li aveva resi euforici. L'interfaccia faccioso dovrebbe essere come una madrina Unicef, politicamente innocente, tutto anelito, da guardare.
Lui, se non avesse incontrato sette anni di dittatura, sarebbe quasi andato bene: perito chimico, latinoamericano, anche professore di letteratura e psicologia, spende poco per lasciare ai poveri, usa i mezzi pubblici. Secondo Verbitsky, certo, sono i significanti del populismo conservatore. E in effetti sono molto attraenti e fanno molto «il Papa capisce la gente».

Non riesco a decidermi. Devo rinunciare a un coinvolgimento infantile per il Papa, che farebbe di me un qualunquista a meno che non decidessi di lanciarmi in un'inchiesta per scoprire quanto Bergoglio sia stato accecato dal timore del marxismo quando cacciò i due gesuiti dalla Compagnia. Oppure devo accettarlo sperando di non star così insultando le vittime dei desaparecidos. Oppure devo dirmi che è tutta propaganda anticlericale; oppure devo cominciare a fare campagna d'opinione perché si facciano papi innocui che vadano bene come interfaccia spirituale?
Papa Giovanni Paolo è venuto a visitare la mia piccola parrocchia di un quartiere ricco romano nel suo neverending tour. Era la seconda metà degli anni Ottanta, io ero chierichetto addetto all'incenso. Fui attentissimo a non sbagliare, ma feci troppo fumo e un assistente del Papa si avvicinò per dirmi di non affumicarlo. Durante quella visita, il Papa lodò il discorso che mia madre aveva fatto nel convento lì vicino, nel corso dell'incontro preparatorio col Pontefice. Giovanni Paolo la definì madre e catechista appassionata. Me l'ha ricordato lei nei giorni senza Papa, quando ci raccontavamo storie da focolare su com'eravamo all'epoca in cui i papi non si dimettevano. Io sono sempre stato un figlio obbediente, perché avevo una madre lodata dal Papa. Giovanni Paolo arrivò in parrocchia come Bob Dylan ad Anzio. L'autorevolezza e il glamour di un marchio globale, le pubblicità di United Colors of Benetton, l'estetica del Live Aid, Giovanni Paolo le portò nella nostra parrocchietta, nei nostri equilibri familiari, e alla fine mi regalò un rosario, consegnato da un suo assistente.

Bei momenti. Ma quando Ratzinger ha dato l'ultima udienza, il 27 febbraio, e mia madre era lì con amici preti a vederlo dal vivo, nel frattempo i miei amici gay di Facebook lo prendevano in giro pubblicando screenshot in cui JR e padre Georg, il suo assistente, abbracciavano estasiati un neonato sulla Papamobile. Il commento: «Il loro sogno». A Roma in questi anni i gay hanno preso un sacco di botte ed è comprensibile che si inneggi al coming out di qualunque prete, specie se bello come padre Georg. Verso la fine della diretta Rai, apprendo da un commentatore online che il Papa d'ora in poi «vestirà in talare bianca semplice, manterrà cioè la veste attuale ma senza la mantellina. Non avrà più le scarpe rosse, le avrà marroni».
Non è bene che si parli delle scarpe del Papa. Vorrei un Papa più generico, più santino.

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